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Cavallino archeologica
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CAPITOLO III: LA CITTÀ MESSAPICA

Paragrafo 13

La cinta muraria



Dall'esame di tutto il materiale trovato, ceramiche, oggetti e strumenti, abitazioni e tombe, si ricava certa la sensazione che la «Città messapica di Cavallino», avendo goduto di un lungo periodo di pace, nel corso del sec. VI a. C. perfezionò e ultimò la sua organizzazione urbana e raggiunse un notevole sviluppo economico e un ordinato assetto sociale.

Durante questo secolo le dimore vengono costruite in pietra su strade larghe circa m. 6,50; in due punti si intravedono tracce di grandi edifici prospicienti ampi spiazzi; le massicciate delle strade interne vengono inghiaiate; viene regolato con apposite canalette il flusso delle acque; certi tipi di ceramica testimoniano i frequenti contatti con il più evoluto mondo greco; la fauna rivela una florida economia agricola e pastorale con diffuso allevamento specialmente di capi bovini e ovini. Una comunità pacifica e tranquilla, dunque, dedita al lavoro.

Purtroppo, anche per le popolazioni messapiche giunse la fine della tranquillità e della pace, allorché ebbe inizio una persistente conflittualità tra Tarentini e Iapigi e si profilò, dunque, il rischio e il pericolo di invasione della Messapia da parte dei prepotenti abitanti della città greca di Taranto.




Resti della muraglia: in alto presso le due Torri, in basso verso la Porta Nord Est.

E, difatti, verso la fine del sec. VI a. C., proprio per difendersi dalle minacce e dai propositi bellicosi dei Tarentini, i Messapi di Cavallino decidono di difendere con una struttura di recinzione e di fortificazione il loro centro abitato, che non è più un misero villaggio di capanne, ma un vero centro urbano, e deliberano, pertanto, di approntare intorno alla città una salda e valida cinta muraria e scavare, contiguo e parallelo alle mura, un fossato per tutta la lunghezza (3.100 m.) del perimetro cittadino. È da mettere in evidenza il fatto che il definitivo circuito murario incluse tutte le zone coltivabili e lasciò fuori i banchi affioranti di roccia.

Lo studioso Cosimo De Giorgi di Lizzanello, riferendo in La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, I 1882, i risultati di una sua escursione nella zona archeologica di Cavallino, effettuata il 9 maggio 1878 insieme con l'amico Sigismondo Castromediano, annota:

«I tratti di mura meglio conservate si osservano ad Est e a 300 metri da Caballino, nel fondo Margiotte grandi, dove si prolungano per un bel pezzo non interrotte, e raggiungono circa due metri di altezza».

Il cavallinese Michele Mariano Arigliani nel suo Cenno descrittivo di alcuni resti di antichità in Cavallino, in Rinascenza Salentina, vol. V, 1937, ci ha lasciato scritto:

«Verso il 1890 l'illustre Duca Sigismondo Castromediano mi affidò l'onorifico incarico di rilevare graficamente la pianta di una zona di terreno esistente nelle adiacenze di Cavallino, in terra d'Otranto, in cui si vuole sia esistita una antichissima città, e nella medesima ubicare, soltanto con segni convenzionali, i ruderi che si veggono sparsi nella detta località…

…Il mio lavoro dunque non richiedeva che di collocare, per quanto fosse possibile, nei differenti appezzamenti coltivabili i resti di sagoma più chiara sfuggiti alla voracità del tempo, i quali solennemente ci attestano che quelle misere rovine furono un tempo abitazioni di uomini conviventi in civile consorzio; cioè resti di una antichissima e sconosciuta città».

Se ora confrontiamo la situazione dei ruderi descritta dai due esploratori citati con quella attuale, ci rendiamo conto che lo stato di conservazione è assai mutato: le mura, le specchie, le sepolture, le vestigia antiche sono state manomesse e quasi del tutto cancellate. Fortunatamente abbiamo i risultati degli scavi scientificamente condotti nel 1964-67, e, basandoci sulle annotazioni e sui risultati documentati della prof.sa Pancrazzi di Pisa, possiamo tracciare una descrizione esauriente della cinta muraria e delle sue caratteristiche.



La cortina interna delle mura presso Porta Nord-Est.

Della muraglia del centro abitato sono tuttora visibili le basi delle strutture murarie di soli due lati perimetrali; invece, il lato meridionale, che idealmente va dal cimitero alla Porta S. Giorgio, e il lato orientale, che corre da Porta S. Giorgio al fondo Serra (verso lu Piru, a sinistra della via nuova per Merine) sono sottostanti all'abitato odierno.

Le mura, lunghe oltre tre chilometri, hanno uno spessore tra i m. 3.50 e i m. 4.00.

La cortina, cioè la fodera, la faccia esterna, meglio lavorata, è fatta di grossi massi di pietra leccese rudimentalmente sbozzati, sistemati per lungo e sovrapposti a secco con rare zeppe, rarissimi sono i blocchi piantati di testa; la cortina interna è fatta di massi più piccoli appena ritoccati e pure essi sistemati a secco; fra le due fodere c'è un riempimento di pietrame versato alla rinfusa.

Un confronto tra la cinta muraria messapica di Cavallino con quelle di Roca Vecchia e di Rudić, che sono i siti messapici più vicini, si presenta difficile, in quanto che le mura di difesa di questi due centri sono per natura e per fattura più recenti. La cinta di difesa di Cavallino, che abbraccia un'area di circa 70 ettari, fu costruita unitariamente e fu completata in tutte le sue parti nell'ultimo quarto del VI sec. a. C. ; il materiale della costruzione fu cavato man mano dal fossato che parallelamente veniva scavato.

Le basi della muraglia poggiano direttamente sul suolo roccioso senza alcun lavoro precedente di spianamento; solo in qualche punto i macigni della prima linea poggiano sulla terra acciottolata. Ai lati di ciascuna porta (n. 5 sono le porte individuate) la struttura risulta più ispessita e resa più salda.

Lungo tutto il perimetro, che - ripetiamo - si sviluppa per 3.100 m., all'esterno rispetto alla muraglia corre il fossato, ora colmato, di cui però si vedono i bordi; esso in media è largo m. 3.50 e profondo m. 2.50.

In corrispondenza degli angoli, evidentemente smussati, della pianta rettangolare della città si aprono le porte di transito, ognuna a ingresso sfalsato e irrobustito.

Sul lato orientale, nel fondo Serra, mura e fossato si interrompono e sull'angolo della cinta muraria si apre il primo àdito, che chiamiamo Porta Est.

In un sondaggio effettuato nei pressi, sono venuti fuori una piramidetta fittile e un blocco d'argilla tanto cotto in fornace che la pasta si è quasi vetrificata.

Subito dopo, volgendo a nord-ovest, a 200 metri da questa porta, ci sono i basamenti quadrangolari di due torri, distanti tra loro m. 10.70, segno che in quel tratto il bastione si presentava più esposto all'assalto e perciò era stato rinforzato da ulteriori fortificazioni.



Porta Nord-Est.

Sotto un macigno della torre di sinistra fu trovato un frammento di skyphos a vernice nera a imitazione del tipo attico (V sec. a.C.).

Da questo punto le mura e il fossato proseguono per 700 metri verso nord-ovest, prima diritti attraverso i contigui fondi Margiotte randi e Margiotte piccinne e poi, superata la biforcazione di via Crocifisso e di via Porzina, giunti nel fondo Culummi, proseguono leggermente sinuosi, fino all'altro angolo dell'impianto urbano, in zona detta Giancastieδδu, tra Chiesura rande e Fica.

Qui c'è Porta Nord-Est, la meglio osservabile, la cui apertura è larga m. 2.50, più che sufficiente per il transito, uno alla volta, dei carri agricoli.

Dalla porta verso l'esterno si notano i due solchi tracciati sul fondo della strada dal continuo passaggio dei carri; all'interno la strada di pietrisco e 'tufina' attraversa il fondo Fica e mostra di dirigersi, in linea diritta, verso il fondo Mbruficu.

Procedendo a destra e guardando dall'esterno questa porta, troviamo che il fossato e la muraglia a loro tempo tagliarono e attraversarono, cancellandone buona parte, l'area delle capanne dell'età del Bronzo, di cui già s'è parlato.

Continuando verso destra fino al fondo Giorgi, a 160 metri, si vede Porta Nord. Da questo punto passa la canaletta scavata nella roccia, che va a sboccare nella ben visibile dolina esterna.




Tratti di mura.

Poi, andando ancora verso sud, a 275 metri di distanza (e siamo arrivati sul fondo Scarani) il fossato si interrompe e costituisce un passaggio su roccia largo m. 31, che permette attraverso la corrispondente Porta Nord-Ovest il transito entro la città.

In uno scavo di sondaggio è venuto fuori un grosso frammento di lastra fittile sul quale è ritratto a bassorilievo un serpente eretto, capovolto e piegato a S.

Nel tratto corrispondente al passaggio è stato trovato pure un frammento di coppetta stile ionico, di pasta dura, rosa arancio; e, interessante, una piramidetta di pasta giallo-rosata, su una delle cui facce risulta incisa una fibula ad arco, il gobetto della staffa corrisponde al foro della piramidetta.

Seguendo a sud il perimetro attraverso il fondo Aiera ecchia, le tracce della cinta muraria non compaiono più e continua ininterrotto il fossato; questo, però, scavalcata la strada provinciale Lecce-Cavallino, precisamente nel fondo denominato Maratunde si interrompe: segno che in corrispondenza di quell'angolo si apriva la Porta Ovest, che nella pianta generale rettangolare diagonalmente corrisponde alla lontana Porta Est.

Dopo l'abbattimento e l'abbandono della «Città messapica di Cavallino», l'intera area rimase coperta di rovine: pietre dei muri, frantumi di vasellame, tegole dei tetti sparsi ogniddove a coprire il terreno.



1

2
1 Lastra fittile con serpente a rilievo, 2 Piramidetta fittile con incisa una fibula schematizzata.

Col trascorrere di lungo tempo contadini e pastori sallentini alla spicciolata cominciarono a venire nella zona e a prendere possesso dei campi tornati incolti e dei pascoli lasciati così a lungo deserti. E si diedero a sgomberare il suolo dal pietrame e dai detriti per rendere coltivabile la terra.

I massi li accostavano ai tronconi rimasti delle mura smozzicate e crollate, e i tratti antichi rimasero sepolti sotto la massa di pietre sovrapposte; e i sassi sparsi che impedivano l'aratura venivano raccolti e portati lungo i margini dei poderi e con essi i 'mesci paritari' costruirono le muricce delle 'chiesure'; i massi di risulta furono ammonticchiati in alti cumuli conici, che la gente chiamava impropriamente 'spècchie' (ma quelle di Cavallino 'spècole' proprio non erano).

Di grossi cumuli di sassi nell'intera area ce n'era un gran numero; poi pian piano il pietrame delle mura smozzicate e quello delle 'spècchie' cominciò ad essere trasportato altrove ed adoperato per costruire i trulli sparsi per i campi, e impiegato come materiale di riempimento nei vespai delle nuove abitazioni, e sistemato nelle massicciate delle strade in costruzione.



Planimetria del "Settore B".

La demolizione e il trasporto del materiale pietroso faceva comodo al proprietario del podere, sia per il vantaggio immediato di avere liberata dall'ingombro della pietraia una parte del terreno del suo campicello e sia per la speranza recondita di trovare al centro e al di sotto della spècchia secolare un tesoro nascosto fantasioso (acchiatura).

Di tanti ammassi di pietre ora ne sono rimasti soltanto tre nel fondo Sentina: uno abbastanza grande col vertice crollato, uno in fase di esaurimento, il terzo accumulato sul bordo a forma di ferro di cavallo de 'la Cupa', indicato col nome di 'circu'.

L'area messapica era pure fittamente disseminata di tegole e coppi di argilla e di cocci di ceramica e di frantumi di stoviglie. Ebbene, come le pietre, anche quei frammenti di terracotta per anni furono sistematicamente raccolti nei campi, pestati, frantumati, sminuzzati e poi la tritatura venduta ai mastri muratori per farne impasto di malte e di intonaci (murtieri de tèula).

M. M. Arigliani alla fine dell'800 asseriva che per generazioni le famiglie cavallinesi Aprile e Miccoli «vissero la vita raccogliendo sempre di quei rottami, riducendoli a tegola pesta vendendola poi per gli usi murari».

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E tuttavia, nei coltivi dei poderi della contrada Crucefissu numerosi si rinvengono tuttora i cocci ormai striati e sbrecciati di terraglie, miseri resti che non ci dicono più niente, ma care testimonianze di tempi assai remoti e interessanti!

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