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Cavallino - I luoghi della memoria
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La Cappella della Madonna del Monte e il Camposanto Il Palazzo Castromediano
La Piazza
Il Convento e
la Chiesa del Convento

Il Palazzo Castromediano e la Piazza

Verso i primi anni del Cinquecento, il giovane Sigismondo I de Castromediano, dovendo convolare a nozze, dal padre don Luigi II fece aggiungere all'abitazione baronale un nuovo comodo appartamento: una sala, due stanze soggiorno, tre camere da letto e diversi vani di servizio furono edificati al primo piano, sopra le terrazze del fabbricato prospiciente la via de lu Calò; e da questa via mediante una scaletta interna alquanto stretta scomoda e buia si accedeva a questo quartiere sopraelevato.

In seguito, il barone Giovanni Antonio II de Castromediano, figlio di Sigismondo, continuando l'attività edilizia dei predecessori, tra il 1565 e il 1578 fece costruire sul quarto lato del maniero, quello di sud-ovest verso la piazza, un altro corpo architettonico a due ordini, divisi e distinti da una evidente modanatura marcapiano, con il muro prespettico pianterreno inclinato a scarpata e con la facciata importante coronata di merli e di tre caditoie trapezoidali; in questo fronte il barone volle trasferire l'ingresso principale dell'edificio, il quale, allora, risultò completato a pianterreno intorno a un ampio atrio più o meno quadrangolare.


La nuova facciata del palazzo Porta d'accesso al piano superiore
La nuova facciata del palazzo Porta d'accesso al piano superiore

In questa nuova parte, dunque, sorsero quattro rimesse laterali, due per parte rispetto a un androne mediano; questo poi aveva un portale ad arco a tutto sesto inquadrato da una cornice triplice sagomata di forma trapezoidale, nella quale fu pure inserito lo stemma baronale del casato, staccato dalla primitiva sede sul vecchio portone d'ingresso (in Largo Castello), dove è ancora visibile l'intacco grezzo scalpellinato.

Dall'androne-ingresso con volta a botte, volgendo a sinistra per una scalinata a tre rampe di gradini di pietra, dove si aprono tre porticine che immettono in altrettanti vani ripostiglio, si raggiunge prima una loggetta con balaustra a colonnine sagomate di pietra, e poi, attraverso una porta di stile barocco, si entra in un primo ampio salone di rappresentanza con la sommità della volta a botte montata su archetti ogivali; l'ambiente è rischiarato da una finestra che si affaccia nell'atrio e da altre due finestre che si aprono sull'ampio libero piazzale e guardano la lontana Chiesa matrice e, più in fondo, la Porta dell'Annunziata.


Il salone di rappresentanza
Il salone di rappresentanza

Allora il salone era sfarzosamente arredato con mobili e arazzi, ora le alte pareti mostrano, anche se parecchio sbiaditi, gli stemmi patrizi dipinti a fresco; qui c'era (ora non più) la tribuna dove sedeva il barone quando teneva udienza giudiziaria; già, infatti il feudatario sui suoi sudditi esercitava pure la giurisdizione delle cause in prima istanza.


Stemmi patrizi La Parrocchiale, veduta dal Palazzo
Stemmi patrizi La Parrocchiale, veduta dal Palazzo

Attigua a questo salone, su piano rialzato, cui si sale per quattro gradini frastagliati, è la cappella che il barone don Giovanni Antonio II nel 1565 eresse e dedicò a S. Stefano, al quale è intitolato l'altare frontale; sopra l'altarino di sinistra, dedicato alla Vergine Maria Madonna di Leuca, si può ammirare un Crocifisso ligneo, del 1600; a destra c'è l'altarino di Maria Addolorata; le pareti sono coperte di dipinti a fresco, alquanto deteriorati, eseguiti da Giansenio Strafella da Copertino, discepolo di Raffaello Sanzio.

Per privilegio di Papa Pio IV la cappella fu dichiarata "pubblico oratorio", e in essa tutt'ora vengono custodite, dopo i festeggiamenti, l'immagine statuaria di S. Domenico di Guzmàn, protettore del paese, e il simulacro della Madonna del Monte; c'è da osservare che la testa e le mani della Vergine e la testa e le mani del Bambino furono modellate in pelle da artisti veneziani nella prima metà del '600, e vennero sistemate su un telaio di legno e questo fu coperto di abiti sericei pregiati e ricamati, periodicamente rinnovati dalle pie donne devote.


Cappella di S. Stefano, altare maggiore Cappella di S. Stefano, affresco parietale
Cappella di S. Stefano, altare maggiore e affresco parietale

Nel complesso edilizio baronale altri rilevanti interventi si ebbero tra gli anni 1590 e il 1620; difatti, il successore Sigismondo II dei Castromediano progettò di aggiungere due nuovi corpi di fabbrica nell'una e nell'altra ala (le alette) dell'edificio, entrambi sporgenti in avanti rispetto alla recente facciata principale.

Nel settore destro (ora guardando dalla piazza) vennero costruiti a pianterreno due botteghe, riparate da arcate a tutto sesto, ed altri vani-alloggio ad angolo sulla strada de li Cuti; al piano superiore, in corrispondenza, furono elevate una loggia aperta in due lati ad archi a sesto acuto e una sala di soggiorno, di forma quadrata con alta volta a crociere, le cui lunette sono rivestite di affreschi in bianco e nero, con personaggi in costume che rappresentano popoli di diverse nazioni. In questo settore, su nel parapetto della terrazza, continua la serie delle caditoie: queste qui rettangolari mentre quelle della facciata centrale sono trapezoidali.


Palazzo, l'ala sinistra Palazzo, l'ala destra (le alette)
Palazzo, l'ala sinistra e l'ala destra (le alette)

Nel settore sinistro i lavori edili vennero proseguiti dal barone don Ascanio Castromediano, il quale fece costruire a pianterreno due botteghe pur esse riparate da archivolti a tutto sesto.

Ma la sopraelevazione dell'edificio in questo settore comportò qualche seria difficoltà in quanto che il vecchio fabbricato si presentò non abbastanza solido e sicuro da sopportare i carichi della nuova costruzione; pertanto si rese necessario rinsaldare convenientemente il piano terra addossandovi, con la funzione di contrafforti, una serie di sette robuste arcate lungo il fianco di via Crocifisso e un'altra di quattro arcate dalla parte dell'atrio.

Il barone don Ascanio, dunque, al piano soprastante fece edificare un nuovo appartamento. Oggi, purtroppo, su questo settore vediamo addossata una antiestetica costruzione moderna: è l'abitazione fatta aggiungere a fine Ottocento da uno degli eredi Castromediano, del ramo Legneaux-Paladini.

Visitiamolo questo quartiere severamente signorile e premurosamente curato dai proprietari Gorgoni.


Palazzo, personaggi di varie nazionalità, affreschi Palazzo, personaggi di varie nazionalità, affreschi
Palazzo, personaggi di varie nazionalità, affreschi

Risaliamo, e dal salone di rappresentanza muoviamo alla nostra destra e, superata una porta massiccia, ammiriamo una sala-armeria dalla volta altissima a crociere, corredata di armi bianche e scudi composti alle pareti, e fornita di un austero camino costruito con arte; originariamente il salone aveva tre uscite su un balcone angolare a colonnine sagomate di pietra leccese, con vedute e sulla piazza e su via Crocifisso, poi la balaustra fu eliminata (fine'800) per far posto - come s'è detto - a una nuova costruzione moderna.


Palazzo, sala-armeria, pareti Palazzo, sala-armeria, pareti
Palazzo, sala-armeria, pareti

Dalla sala d'armi si passa in una stanza quadrata la cui alta volta presenta un grande stemma araldico e le cui pareti, a mo' di pinacoteca, sono coperte da grandi quadri-ritratti di personaggi della casata. Nell'attiguo salotto di stile barocco sono da notare un dipinto su tela attribuito a Oronzo Tiso, noto pittore leccese, e il ritratto della vezzosa Maria Francesca (donna Chicchina) Gallone Colmonero moglie del marchese don Giacinto Maria I.

La parte restante di questo settore è occupata dallo studio, dalla ricca biblioteca e da altri vani prospicienti via Crocifisso, con relative uscite su un lungo terrazzino ringhierato poggiante su archivolti; infine, altre camere contigue hanno le uscite sull'altro ballatoio scoperto, anch'esso poggiante su arcate e prospiciente l'atrio del palazzo.

Al 1° piano di questo settore dell'edificio si può accedere anche mediante una scaletta secondaria con entrata dalla via Crocifisso. Alla sommità di questo tratto architettonico non ci sono merli ma solo due caditoie sovrastanti due finestre a vetri: c'è, dunque, da supporre che i parallelepipedi e le petriere degli altri settori furono messi piuttosto a scopo ornamentale che a scopo difensivo.


Palazzo, camino
Palazzo, camino

Invero, strutturalmente il grande edificio dei Castromediano non è un Castello, non lo è mai stato perché è privo di quei caratteri necessari e di quei requisiti
Edicola della Vergine

Edicola della Vergine
precipui di una fortezza; esso non ha avuto nemmeno una torre, non ci sono bastioni né contrafforti, non si vedono feritoie né archibugiere, non c'è stato mai un fossato intorno né un ponte levatoio; mai è stato rintracciato il cunicolo segreto che, secondo una voce tradizionale, in caso di avversa necessità permetteva agli assediati in pericolo imminente di lasciare l'edificio e per via sotterranea di mettersi in salvo raggiungendo il Convento.

Il fabbricato è piuttosto un Palazzo alquanto fortificato; difatti, mentre architettonicamente il castello è chiuso e compatto nell'insieme, con due sole entrate, questo edificio, invece, ha tante aperture verso l'esterno: portoni, porte e finestre, balconi, loggette e veroni, ballatoi e terrazzini su tutti quattro i fronti. Anche l'ultimo dei Castromediano, Sigismondo III, chiamava 'palazzo' la sua dimora, e Cosimo De Giorgi, descrivendo l'edificio nei suoi Bozzetti di viaggio, lo indicava come 'palazzo marchesale', e noi cavallinesi di un tempo abbiamo sempre sentito dire e abbiamo ripetuto: «lu palazzu, subbra a llu palazzu, retu a llu palazzu…»; poi sono venuti gli "istruiti" ed han cominciato a chiamarlo impropriamente Castello.

A don Ascanio subentrò il figlio Francesco Castromediano, sotto il cui dominio giurisdizionale il casale di Caballino raggiunse l'apice dello sviluppo economico e del prestigio feudale, tanto che il facoltoso e baldo giovane meritò la mano della nobilissima e corteggiatissima contessina Beatrice Acquaviva d'Aragona, dei conti di Conversano e duchi di Nardò.


Il balcone barocco su Largo Castello
Il balcone barocco su Largo Castello

Costei, per altro, allo sposo portò in dote una ingente somma di Ducati d'oro; don Francesco, poi, per meriti di valore e di fedeltà al Re, ottenne da Filippo IV sovrano di Spagna e di Napoli il titolo e le prerogative di Marchese di Caballino per sé e per i suoi successori.

E i due ricchi coniugi incrementarono l'attività edilizia in paese; fu completata la sopraelevazione del fianco destro del palazzo con l'aggiunta di un altro appartamento sulla via de li Cuti: camere da letto, stanze di soggiorno e di servizio e uno studio, poi una sala rettangolare con ampio camino, illuminata da una vetrata affacciante nell'atrio; segue un'altra sala con soffitto ligneo armato di travi, illuminata da un finestrone che porta sulla balconata di via Vittorio Emanuele III; l'ambiente è impreziosito da un'edicola sacra che accoglie un quadro della Vergine con il Bambino.

Attigua ma alquanto arretrata rispetto alla strada de li Cuti fu edificata la parte più sfarzosa e lodevole del palazzo, comprendente: una 'Galleria', una sala di soggiorno dotata di balconata barocca con balaustra a colonnine ornate, la quale sporge su Largo Castello, e una alcòva con le pareti dipinte a motivi floreali di stile romano-pompeiano.


Galleria, il lato ovest
Galleria, il lato ovest

La Galleria - La galleria merita di essere descritta. Essa misura m. 7.60 di larghezza, m. 23.40 di lunghezza, m. 14.40 di altezza; per una porta nel muro di destra si esce su un verone balaustrato che s'affaccia nell'atrio interno, mentre tre finestre in ciascun lato lungo ricevono la luce che va a rischiarare i dipinti dei muri, degli archivolti e quelli del soffitto, e le statue delle pareti; il pavimento è di impasto cementizio cosparso di mattonelle sistemate simmetricamente a stelle e a rombi.


Galleria, il lato est
Galleria, il lato est

Gli affreschi della volta a crociere e a spicchi presentano le Costellazioni dello Zodiaco, tra le quali sono ben riconoscibili: l'Orsa maggiore e l'Orsa minore, il Toro e il Leone, l'Acquario, lo Scorpione, il Capricorno, l'Arciere, e Sirio, Orione, Orfeo, la Lira, il Cigno, ecc., figure che spiccano su un fondo celeste punteggiato di astri; qua e là poi si mostrano vigorose figure umane.

In alto, sul largo cornicione su cui è impostata la volta, sono disposte le statue in pietra di personaggi mitologici: Giano bifronte, il Tempo, Saturno, Mercurio, Venere, Enea che regge sulle spalle il padre Anchise, e, di fronte, un uomo che regge sulle spalle due persone a cavalcioni, ecc., e otto personaggi (a mezzo busto) del Casato.


Galleria, la lunetta e la volta settentrionali
Galleria, la lunetta e la volta settentrionali

Ancora, a mezza altezza, su mensole saldamente infisse nei quattro muri del salone, sono sistemate, ritte in piedi e a grandezza naturale, altre sedici statue in pietra raffiguranti: la Virtù eroica, il Furore, la Clemenza, l'Ingegno, l'Industria, il Dolore, il Rumore, l'Estro poetico, la Verità, la Sapienza, l'Onor della Virtù, l'Occasione, la Fortuna (l'unica andata sfortunatamente distrutta), lo Splendore, la Povertà ingegnosa, il Giudizio umano; questi soggetti astratti si individuano leggendo il titolo latino inciso in ciascun appoggio.


Galleria, la lunetta e la volta meridionali
Galleria, la lunetta e la volta meridionali

C'è discordanza nell'attribuzione di detti lavori di pittura e di scultura: Sigismondo Castromediano, nel suo libro "Caballino" lasciò scritto: «Gli affreschi rappresentanti il Zodiaco ed altre Costellazioni son di Francesco Florio, un buon pittore leccese del diciassettesimo secolo e le statue di Carlo Aprile, un palermitano della stessa età»; l'esperto studioso Cosimo De Giorgi nei suoi "Bozzetti di viaggio" così annotò: «Restano le sole statue che decoravano la sala…, altre sono invece sopra la cornice… Son tutte scolpite in pietra leccese e furono dapprima tinte in nero; …Lo scultore fu un tal Francesco Fiorio di Messina, nei primi del secolo XVII.»


VIRTUS EROICA FUROR
VIRTUS EROICA

FUROR

CLEMENTIA INGENIUM
CLEMENTIA

INGENIUM

INDUSTRIA DOLOR
INDUSTRIA

DOLOR

RUMOR FUROR POETICUS
RUMOR

FUROR POETICUS

VERITAS SAPIENTIA
VERITAS

SAPIENTIA

HONOR VIRTUTIS OCCASIO
HONOR VIRTUTIS

OCCASIO

SPLENDOR PAUPERTAS INGENIOSA
SPLENDOR

PAUPERTAS INGENIOSA

IUDICIUM HUMANUM
IUDICIUM HUMANUM


Nella metà del secolo XIX i beni mobili e immobili del Casato dei Castromediano andarono divisi tra i dieci superstiti eredi legittimi; il settore "Galleria" toccò in proprietà alla famiglia Casotti-Castromediano, che murò il portale interno d'accesso al palazzo separandone questa parte; poi verso il 1918 tale settore pervenne ai discendenti Casotti-Greco, i quali sul fianco esterno prospiciente via Vittorio Emanuele III, sino all'altezza di un balcone balaustrato montarono una scaletta di pietra (oggi puntellata perché pericolante) e crearono così un nuovo inadeguato ingresso al magnifico salone, al quale toccò il meschino destino di essere adibito a opificio per la lavorazione del tabacco.

Infine, la "Galleria", classificata come bene di notevole rilevanza culturale e artistica, venne in possesso dell'Amministrazione Provinciale di Lecce; adesso presenta paurose crepe nelle sue strutture murarie e da un decennio è in fase, interminabile!, di consolidamento e di restauro.

Per continuare la nostra visita descrittiva del Palazzo Castromediano, torniamo nell'ampio atrio centrale. Volgendo lo sguardo verso destra, notiamo una complessa struttura architettonica, la quale serve contemporaneamente tre ampi locali sovrapposti: dal piano terra una scalinata picconata nella roccia scende in un antico scantinato; il vano scala è coperto da un robusto archivolto appianato a ballatoio raggiungibile mediante due rampe laterali contrapposte di pochi gradini che portano nel magazzino sovrapposto al sotterraneo.


Galleria, saletta decorata Atrio
Galleria, saletta decorataAtrio

Sopra l'archivolto, inoltre, poggiano tre plinti, da cui si alzano altrettante colonne cilindriche che sorreggono il verone pertinente alla galleria. L'insieme costituisce un grazioso motivo architettonico e decorativo che sospinge lo sguardo alla facciata frontale.

E adesso, per continuare il discorso cronologico, torniamo al tempo del marchese don Francesco,
Atrio, il verone

Atrio, il verone
il magnifico Signore di Caballino, il quale nel 1659 progettò anche di completare la sopraelevazione del quarto lato dell'edificio, il più antico. I lavori vennero iniziati dalla parte della galleria, ma l'anno dopo, a causa della morte di don Francesco, furono interrotti e mai più ripresi e ultimati; si vedono tutt'ora i conci d'appoggio e d'incastro rimasti sporgenti e mai rifiniti.

Di tale settore architettonico rimase svettante come un frontone soltanto lo spesso muro prospiciente l'atrio dell'edificio;
Atrio, il frontone

Atrio, il frontone
tra due finestre a tutta luce, incorniciate come quelle della galleria, fu incassata una nicchia dentro cui venne collocata la statua in pietra di Kiliano di Limburg (Germania), il capostipite del Casato dei Castromediano, il quale, per le dimensioni non comuni della scultura, fu detto il "Gigante", probabilmente opera del medesimo artista che aveva scolpito le statue della galleria.

Sulla base d'appoggio del personaggio è incisa la seguente scritta didascalica:

KILIANUS DE LIMBURGO P.S DE CASTROMEDIANO
DUX IN EXERCITU GUGLIELMI P.I - ANNO MDCV

Kiliano di Limburg Primo dei Castromediano
Capitano nell'esercito di Guglielmo I - Anno 1605

Kiliano di Limburg, capitano di ventura, il 1155 era venuto nell'Italia meridionale insieme con i Normanni ed aveva combattuto al soldo del re di Sicilia Guglielmo I il Malo, dal quale, poi, fu ricompensato con la concessione dei feudi di Petra pertosa, di Castello bellotto e di Castello mezzano, in Basilicata; dal toponimo Castello mezzano, latinizzato in Castrum medianum, derivò il cognome italiano Castromediano.

Nella nicchietta sopra la finestra di sinistra c'è il busto di don Francesco, difatti l'epigrafe dice

D. FRANCISCUS DE CASTROMEDIANO DE LIMBURGO
PRIMUS MARCHIO CABALLINI

Don Francesco di Castromediano di Limburg
Primo Marchese di Cavallino

e nella nicchietta sopra la finestra di destra c'è il busto del figlio e successore di don Francesco; l'iscrizione attesta che è

D. DOMINICUS ASCANIUS DE CASTROMEDIANO DE LIMBURGO
DUX MORCIANI - MARCHIO CABALLINI

Don Domenico Ascanio di Castromediano di Limburg
Duca di Morciano - Marchese di Cavallino

Osserviamo, intanto, che la data MDCV incisa ai piedi di Kiliano non può indicare l'anno della erezione di questo frontone e l'anno della posa delle tre sculture, giacché nel 1605 don Francesco non era ancora marchese e, addirittura, don Domenico Ascanio non era ancora nato; è da supporre che la statua del Gigante sia stata eretta nel 1605 in altro posto dell'edificio e dopo, nel 1660, trasferita qui e collocata insieme con le figure dei due adulti memori discendenti.

Si rammenta che è risultata falsa, finora, la credenza secondo cui "nel punto esatto del palazzo in cui il Gigante punta e posa lo sguardo, lì è nascosto un tesoro". Alcuni dei successori, ai quali il tesoro avrebbe fatto veramente comodo, a più riprese lo cercarono, talvolta sfondando muri e scoperchiando tetti…; ma le ricerche risultarono ogni volta vane e i cercatori rimasero delusi e amareggiati.

Ancora in quegli anni il marchese Domenico Ascanio, da poco insignito del titolo di Duca di Morciano, dirimpetto a ciascuna ala (le alette) della sua residenza in Cavallino fece installare a sinistra una fontanella asciutta (non esisteva acquedotto!) consistente in una tazza sostenuta da un peduccio; e a destra fece erigere un monumentino in onore di S.M. Filippo IV Re di Spagna. Sigismondo Castromediano, che ben se lo ricordava, così lo descrisse nelle sue Memorie: «Il pilastro, che la sosteneva (la statua del re), andava decorato dell'aquila bicipite, dello stemma di mia famiglia e d'una lapide in cui si leggeva che il monumentino era stato inalzato da Domenico Ascanio Castromediano ed eseguito, molto accuratamente, da Placido Buffelli».

Questo monumento fu abbattuto e frantumato il 7 ottobre 1860 dai militi della Guardia Nazionale accorsi da Lecce per sedare un tumulto popolare anti-sabaudo.


Il palazzo marchesale dei Castromediano
Il palazzo marchesale dei Castromediano
(disegno dal vero di Cosimo De Giorgi)

Cosimo De Giorgi, tornato nel 1892 per visitare Cavallino, constatò e annotò che al posto della statua di Filippo IV a cavallo «presso il palazzo
Fondo 'Villa', garitta

Fondo 'Villa', garitta
marchesale sorge il simulacro d'una fontana senz'acqua e di contro sopra una base barocca un S. Oronzo in pietra leccese, messo lì nel 1878 dall'ultimo marchese di Cavallino
», cioè da Sigismondo Castromediano, il patriota risorgimentale.

Per avere l'idea del degrado in cui il Palazzo si era ridotto (e per il motivo che la famiglia dei Castromediano era caduta in miseria e per il fatto che lo stesso Sigismondo, imprigionato, era rimasto a lungo assente da casa sua) leggiamo quanto il De Giorgi nel 1882 annotò nei suoi "Bozzetti": «L'atrio del palazzo - nel quale si provò la prima mongolfiera elevata in provincia di Lecce nel secolo scorso - oggi è muto e deserto, ed è ricoperto da un tappeto di verdura. Le galline e le anitre intonano col loro pigolìo l'eterno idìllio della vita campestre!». Con mani inesperte curava l'orticello Sigismondo IV, detto "don Cicirimondu", l'ultimo rampollo dei Castromediano di Cavallino, il figlio tapino di Chiliano e, dunque, il nipote di Sigismondo, il patriota.


Il sedile della Signora Marchesa, nel fondo 'Villa'
Il sedile della Signora Marchesa, nel fondo 'Villa'

La piazza - Il casale di Caballino - già lo sappiamo - si trovò dotato di un'ampia area di terreno libero interposto tra il Palazzo dei Castromediano e la Chiesa dei parrocchiani; e non perché previsto e voluto da un progetto urbanistico ben studiato ma perché la radura fu sempre soggetta ad allagamenti per emergenze pluviali.

La pavimentazione, rustica, era costituita da acciottolato e tritume tufaceo Il pozzo di S. Domenico pressati, e sparsi qua e là, in punti poco frequentati, vi spuntavano ciuffi di graminacee e di crespigni, che venivano sarchiati in occasione di festose ricorrenze.

L'anno 1636, anche la marchesa donna Beatrice Acquavia (che morirà giovanissima l'anno dopo) volle donare personalmente ai suoi fedeli vassalli cavallinesi un'opera di pubblica utilità, e nel piazzale sgombro, alquanto più vicino alla parrocchiale, fece scavare un pozzo profondo dodici passi, sulla bocca della buca fece innalzare il parapetto e quattro colonnine a sezione quadrata e sopra di esse volle collocare la nota bella statua in pietra di S. Domenico di Guzmàn, che guarda verso la città di Lecce; al di sotto della travetta di copertura fu agganciata una carrucola fornita di fune e di otre, per agevolare le donne che vi si recavano per attingere l'acqua.

Nella fascia della base ai piedi della statua fu incisa un'iscrizione allusiva:

QUAE VIVIS EFFULGET AQUIS ACQUAVIVA BEATRIX
PRIMA CABALLINI MARCHIONISSA DEDIT

Colei che splenderà di vivide acque, Beatrice Acquaviva
prima marchesa di Caballino, offrì (questo pozzo)

Una curiosità: dal pozzo di S. Domenico si attingeva acqua pura, liscia, dolce, fresca, acqua sorgiva bevibile di ottima qualità; invece, dai vicini quattro pozzi delle case dei Forcignanò, dei Baldassarre, dei Garrisi, dei De Luca, allineate alle spalle della statua del Santo, scaturiva acqua salmastra, biancastra, dura, non potabile.

Do attestazione di ciò io che, ragazzo, pur essendoci il pozzo privato in fondo alla corte della casa paterna, avevo il fastidioso compito di fare dal pozzo di S. Domenico la provvista giornaliera di acqua da bere per la famiglia.

Partendo dall'inizio di via Calò, da una parte, e dall'inizio di via Cuti, dalla parte opposta corrispondente, si allungavano due filari di pioppi (chiuppi), che ai primi dell'Ottocento furono sostituiti con alberi di acacie frondose, ancora più ornamentali, che i Cavallinesi, però, continuarono a chiamare chiuppi.

Nel 1860 queste piante erano cresciute assai rigogliose e incontrollate, « …lungi dall'apportare abbellimento alla Piazza Pubblica»; sicché il Consiglio Civico, constatato che « …nel vano della Piazza, come ben conoscete, vi sono degli alberi di acacie talmente folti e spessi da sembrare un bosco ed impedire l'accesso dell'aria libera alle circostanti abbitazioni… », il 4 novembre deliberò di diradare i filari sradicando alternativamente gli alberi diventati ingombranti.

Già dall'anno 1855 il Decurionato aveva deliberato di costruire la Casa Comunale e aveva affidato l'incarico di preparare
La vecchia sede del Municipio

La vecchia sede del Municipio
il progetto all'ing. leccese Domenico Malinconico; ma l'anno dopo il Consiglio propose delle varianti circa l'ubicazione dell'edificio: costruirsi non addossato al fianco destro del tempio, perché «…inalzandosi in quel luogo nasconde una porzione di Chiesa, e chiude un finestrone della stessa;» ma «l'opera da farsi inalzata si fosse al prospetto della Piazza, e propriamente alle due vecchie botteghe… di proprietà delle Signore Castromediano: servendoci di queste e porzione di suolo Comunale».

Alla richiesta degli Amministratori non viene dato alcun riscontro; anzi il 1858 cominciano i lavori di costruzione del Municipio proprio accanto alla Chiesa. Subito si levano le proteste della popolazione intera, allorquando quei 'poveri analfabeti' dal tracciato e dallo scavo delle fondamenta intuiscono che il fronte dell'edificio «non forma rettifilo colle case adiacenti lungo la strada da Porta Lecce, ma bensì una linea spezzata avente un angolo ottusissimo, discostandosi per 17 gradi dalla linea retta… ché lo scopo di ogni opera non solo racchiuder debba la commodità, ma anche la coordinazione della giacitura per lo immeglioramento di un paese;» E i lavori appena iniziati vengono interrotti.

Il 26 febbraio 1860 - Sindaco Vito Rizzo - il Decurionato torna a deliberare facendo voti che la Casa Comunale «si dovesse situare in mezzo alla piazza e precisamente dove sono le botteghe dei Castromediano ed occuparsi qualcheduna di queste botteghe, essendo questo un luogo opportuno, e regolare,…»; segnalarono dunque, quei saggi cittadini, come posizione più idonea e urbanisticamente più valida l'angolo Piazza - strada Convento (dove oggi è la farmacia).


Andò a finire che il Municipio di Cavallino per allora non fu costruito, …anche perché dopo qualche mese le regioni meridionali saranno occupate da G. Garibaldi e passeranno dalla maestà dei Borboni sotto quella dei Savoia.

L'anno 1886 la Civica Giunta reperì i fondi necessari per risistemare tutta la vasta area del piazzale e diede inizio
Il Monumento ai Caduti

Il Monumento ai Caduti
ai lavori: la zona sghemba antistante alla Chiesa parrocchiale fu lasciata a spazio viario di transito, quella anteriore al Palazzo, di forma quadrata, fu delimitata da un cordone continuo di bàsoli alto circa 25 centimentri dal piano, e così la piazza vera e propria, rialzata, fu appianata con una massicciata di pietrame e ornata lungo i quattro margini di alberi di acacie, che gli abitanti - conferma Sigismondo Castromediano - si ostinavano a chiamare chiuppi (pioppi); torno torno furono sistemate delle panchine semplici di pietra leccese.

Su questa piazza noi ragazzi di allora ci divertivamo a tracciare in terra le linee del giuoco "a campana", a scavare fossette per il giuoco "a palline", a giocare "a montagna", a sfidarci in gare con le trottole (li curri).

Sulla piazza venne innalzato il Monumento ai Caduti con la statua dell'Italia che alza la fiaccola della vittoria, il Fante morente, l'Aquila ad ali spiegate e l'emblema del Comune con il Cavallo rampante, ma senza ali, riprodotto a bassorilievo; l'opera venne realizzata dal maestro concittadino Luigi De Blasi (progettista anche della "fontana grande" inaugurata dopo, nel 1929). Dunque il 5 novembre 1922 - Sindaco cav. Raffaele Totaro Fila - il monumento fu inaugurato tra suoni di banda, spari di mortaretti, pianti delle madri dei 34 giovani cavallinesi morti nella grande guerra 1915-18.


L'ampio spiazzo urbano invaso dalle acque
L'ampio spiazzo urbano invaso dalle acque

Oggi la piazza vera e propria è sollevata in media cm. 80 dal piano stradale, è piastrellata, illuminata da quattro lampioni, contornata da alberi di querce, che d'estate offrono ombra e refrigerio a coloro che oziano sui sedili sistemati ai bordi.

In paese nel 1956 furono eretti due altri piccoli monumenti, entrambi lavori del cavallinese Stanislao Maggiore: in corso Umberto I, nella piazzuola antistante all'ex convento, su una colonnina è il busto di Sigismondo Castromediano (1811-1895) patriota e martire dell'Unità d'Italia; in Largo Loreto, su un cippo di pietra marmorea è il busto di Giuseppe De Dominicis (1869-1905), il maggior poeta vernacolo di lingua leccese.


Stele di Sigismondo Castromediano Stele di Giuseppe De Dominicis
Stele di Sigismondo CastromedianoStele di Giuseppe De Dominicis



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Il Convento e
la Chiesa del Convento