Prefazione

Il territorio di Cavallino geograficamente è posto al margine settentrionale della "Cupa salentina" e, partendo dai pressi della città di Lecce, si protende a sud-est sino a Caprarica e a Galugnano.

In epoca assai remota, sul pianoro a nord dell'attuale abitato di Cavallino, era stanziato un villaggio di indigeni primitivi che abitavano in capanne di tronchi d'albero e vivevano cacciando la selvaggina e raccogliendo i frutti che la terra e la vicina macchia spontaneamente producevano.

Intorno al 1000 a.C., nel medesimo sito giunsero e si fermarono alcuni nuclei di iapigi messapi, i quali si misero ad ampliare il disboscamento e a praticare l'agricoltura e la pastorizia; ma nel 460 a.C. la loro città fu rasa al suolo dai greci tarentini e gli abitanti si dispersero nella piana messapica di Rudiae e di Lupiae.

Con l'occupazione della penisola salentina da parte delle legioni romane (266 a.C.), quegli antenati e i loro discendenti, agricoltori e pastori, tornati sulle loro terre e sui loro pascoli, adottarono i metodi di lavoro, le usanze e le abitudini, la lingua e la cultura dei colonizzatori latini.

I residenti, diventati coloni lupiensi (leccesi), presero a utilizzare le pietre sparse nei campi per fabbricare qua e là tanti tuguri di forma conica (truδδi o pagghiare), s'impegnarono a liberare il terreno coltivabile dal pietrame ammassando i sassi in alti cumuli (specchie), costruirono man mano lunghe muricce a secco (pariti te petre) quali limiti divisori dei singoli campi. Essi in tal modo diedero una prima caratteristica al paesaggio.

Per i successivi dieci secoli la nostra contrada rimase immersa nel silenzio e nell'oblio, finché la storia ci fece sapere che agli inizi dell'anno 1000 il pagus Caballini era parte integrante della Contea di Lecce; che intorno al 1150 le terrae Caballini erano in possesso della famiglia leccese de' Maresgalli; che nel 1250 il casale di Caballino divenne possedimento feudale del barone Pietro de Noha; che agli inizi del 1400 la baronia di Caballino passò a Luigi de' Castromediano, marito di Luisa de Noha; che nel 1560 il barone Sigismondo de' Castromediano acquistò il tenimento di Ussano, sicché i Signori Castromediano divennero feudatari di un latifondo vasto circa 2.200 ettari, chiuso tra i confini di Lecce, San Cesario, San Donato e Galugnano, Caprarica, Lizzanello e Merine.

Essi, i Castromediano, misero a coltura razionale il loro feudo: il territorio fu suddiviso in grandi masse di terre (massarei) assegnate ai capaci massai, in medie tenute affidate ai fedeli coloni, e in singoli poderi recintati e chiusi (chiusure o chiesure) affittati a operosi ortolani.

La fascia settentrionale del territorio, stretta e alquanto sopraelevata, con un sottile strato di terra bruna tormentata da discontinui banchi affioranti di roccia calcarea (petra leccese o leccisu), con la falda acquifera troppo profonda e con i terreni agrari aridi e brulli, fu adibita prevalentemente a seminativi, a maggesi, a prati, a pascoli; la zona meridionale, ampia e avvallata, ricca di fertile terra rossa, con falda acquifera poco profonda e facile da raggiungere con i pozzi, fu adibita a oliveti, a vigneti, a mandorleti, a orti; le varie colture ortive, inoltre, venivano praticate in giardini agrari contornati da siepi di fichidindia e valorizzati con arbusti di melograno, di cotogno, di nespolo, di ciliegio e con alberelli di arancio, di mandarino, di limone.

Le contrade, le masserie, le case coloniche, i singoli campi si raggiungevano per strade vicinali strette e tortuose, fiancheggiate da muretti a secco, per viottole poderali sterrate e aperte, segnate da profonde carreggiate, e per sentieri padronali in terra battuta.

Per cenni sommari, questo era prima ed è ancora oggi il paesaggio cavallinese, assai interessante sotto l'aspetto naturale, topografico, storico, culturale: è degno, dunque, di essere conosciuto, salvaguardato e valorizzato.

L'habitat ecologico, oggetto specifico delle nostre sollecite osservazioni, corrisponde al sopra descritto attuale territorio del comune di Cavallino; tuttavia - è da tenere presente - il suo ecosistema è analogo e affine a quello delle aree territoriali dei paesi circonvicini, avendo essi, nell'insieme, identiche condizioni e simili caratteristiche naturali.

L'habitat cavallinese (in questo volume descritto e illustrato con oltre quattrocento originali disegni, ciascuno dei quali accompagnato da una esauriente didascalia), l'habitat da noi osservato - dicevamo - è circoscritto principalmente alle specie degli animali terricoli comuni e alle specie delle piante prataiole spontanee (inclusi alcuni interessanti animali domestici e alcune importanti erbe coltivate), che vivono e vegetano nel nostro territorio: animali e piante, si badi bene, aventi comunque relazioni e rapporti pure con le persone che in esso ambiente vivono e operano; animali e piante a cui i nativi residenti diedero un nome specifico, logicamente una parola dialettale, vocabolo che entrò a far parte del patrimonio culturale naturalistico locale.

Proprio per questi motivi abbiamo creduto opportuno e utile presentare ai lettori interessati all'ambiente naturale e amatori della cultura tradizionale leccese anche gli strumenti, gli arnesi e gli utensili d'uso comune, dai residenti adoperati nei campi, nelle case, nelle botteghe, nei luoghi di lavoro, al tempo in cui preminente era in Cavallino la cultura e la civiltà contadina.

Infine, un suggerimento che sia di stimolo: una ricerca, una raccolta e una catalogazione degli oggetti, degli attrezzi, degli strumenti in questo volume presentati potrebbero costituire un primo nucleo di valide testimonianze concrete del passato e agevolare l'allestimento di una specifica sezione di un interessante museo comunale delle tradizioni popolari locali e della civiltà rurale ottocentesca.