Home Page Inizio della pubblicazione
I Castromediano
Capitolo precedente: Capitolo 9 Capitolo successivo:
La baronia di Caballino,
dai de' Noha ai Castromediano
Luigi I (c.1370-1439),
9° barone di Cavallino
Giovanni Antonio I (1410-1481),
10° barone



I CASTROMEDIANO

Luigi I (c.1370-1439), 9° barone di Cavallino

Il barone don Luigi I Castromediano si sentì in diritto e in dovere di procedere alla sistemazione del territorio del suo feudo e distinse le terre allodiali, da far coltivare ai servi della gleba, e le terre in enfiteusi da assegnare per un periodo lungo (usualmente trentennale) a famiglie di liberi agricoltori con pagamento di un canone annuo in denaro e in derrate, con prestazioni gratuite di vari servizi e con specificati donativi in determinate circostanze.

Con ciascun subalterno capo famiglia: servo della gleba, servitore di palazzo, cavapietre, mastro muratore, carrettiere, pastore, colono, il barone don Luigi I rinnovò il normale patto di vassallaggio, facendogli sottosegnare con una croce (erano tutti non scribenti!), alla presenza di testimoni, la seguente consueta formula comune: Dato che non possiedo cibo per nutrirmi né panni per coprirmi, ho domandato alla vostra pietà - e la vostra benevolenza me lo ha accordato - di potermi mettere sotto la vostra protezione. Per tutta la vita vi dovrò i servizi e l'obbedienza, non avrò la possibilità di sottrarmi al vostro potere, ma dovrò passare tutti i giorni della mia vita sotto il vostro dominio e la vostra protezione.

Mancando nel feudo qualsiasi regime di ordine pubblico, persino gli uomini liberi, per essere e per sentirsi difesi dalle ruberie e dagli abigeati, e salvaguardati dalle prepotenze dei delinquenti abituali, spontaneamente affidavano se stessi e i propri familiari all'unico che potesse proteggerli, al Signore feudatario. Così tutti gli abitanti della baronia - di loro spontanea volontà - diventavano sudditi del Barone.

Nel feudo di Cavallino, possesso dei nuovi signori de' Castromediano (e così, del resto, nella baronia di Lizzanello dei signori Paladini, in quella di Galugnano degli Acaya, nell'altra di San Cesario dei Guarino, ecc.) cominciò a comporsi una specie di Ordinamento baronale, conformato ai cosiddetti Statuti della Bagliva, emanati dalla contessa Maria d'Enghien per tutta la Contea di Lecce, ossia un regolamento contenente norme, ordinazioni, dazi ordinari e collette straordinarie, divieti, multe e punizioni.

Il Barone governava il dominio della casata, amministrava e sfruttava la propria possessione e nell'ambito del proprio feudo esercitava anche il potere di rendere giustizia nelle cause di prima istanza. Ai baglivi, ai vigilanti, ai dazieri toccava il compito di regolare gli usi civici, di comminare le ammende, di riscuotere i dazi; i magistri massariorum, specie di agronomi, avevano l'incarico di consigliare le coltivazioni, di controllare le produzioni e di sovrintendere alla spartizione dei prodotti stagionali della terra.

Minuziosamente erano stabilite le pene pecuniarie per danni arrecati alla persona o alle cose degli altri. Se uno in pubblico bestemmiava Dio, la Madonna, i Santi, era multato a pagare un tarì alla Corte Baronale e 10 grana (mezzo tarì) all'accusatore. Se due amanti, coniugati, venivano denunziati per adulterio, il barone, appurata la verità, condannava lui a pagare un'ammenda di 4 once (16 quattrini) e lei a subire la punizione di 10 scudisciate sul dorso denudato.

Nel feudo la vita sociale era semplicemente rusticana; le famiglie dei villani dimoravano nei campi in capanne isolate, vicine all'aia, accanto alla stalla. I contadini, i pastori, conducevano un'esistenza misera e triste, obbligati a faticosi lavori manuali, ogni giorno dall'alba al tramonto. E quando la sera rientravano nella propria casupola, avevano un solo desiderio: calmare gli stimoli della fame consumando le usuali pietanze di legumi o di verdure e andare a sdraiarsi sul saccone per riposare le membra indolenzite dalla fatica.

Il barone don Luigi I incoraggiava i campagnoli a venire ad abitare nel borgo, e agli aderenti concedeva gratuitamente il suolo edificatorio in zona "Calò" e in zona "Cuti" contigue all'abitazione padronale grande e solida, costruita questa con blocchi squadrati di pietra calcarea.

Numerose famiglie contadine, quelle che avvertivano il bisogno naturale di condurre una vita comunitaria, vennero a dimorare nel borgo e presero a vivere un'esistenza più ricca di relazioni umane, di rapporti solidali, di legami familiari; e ciò produsse anche un progresso civile in quanto che i compaesani, con il confronto e con lo scambio delle personali esperienze, svilupparono i valori della locale cultura.

Le nuove case accostate le une alle altre erano costituite di una o due stanze e di una cucina con focolare, la quale fungeva pure da vano pranzo; i muri erano di pietre informi raccolte nei campi e cementate con malta di terriccio e calce; il pavimento era fatto di lastre di pietra calcarea cavata sul posto; i tetti spioventi erano di cannicci coperti di embrici semicilindrici di terracotta di fattura locale. In fondo all'orticello, in un angolo c'era il luogo comodo, il cesso, e nell'altro la fossa del letame brulicante d'insetti.

L'ultima casa
CAVALLINO - L'ultima casa "a cannizzi e ìmbreci" (foto P. Garrisi)



Home Page Inizio della pubblicazione
I Castromediano
Capitolo precedente: Capitolo 9 Capitolo successivo:
La baronia di Caballino,
dai de' Noha ai Castromediano
Luigi I (c.1370-1439),
9° barone di Cavallino
Giovanni Antonio I (1410-1481),
10° barone