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I Castromediano
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1o prospetto genealogico
dei baroni Castromediano
Luigi II (1437-1526),
11o barone
Il potere dei baroni diminuisce



I CASTROMEDIANO

Luigi II (1437-1526), 11° barone

Il mese di novembre del 1481 don Giovanni Antonio I, da tempo debilitato e inabile, cessò di vivere e come erede titolare della baronia di Cavallino successe il figlio Luigi II Castromediano, il giovane; l'investitura del feudo gli fu sanzionata ufficialmente dal re di Napoli Ferrante d'Aragona con atto del 1° aprile 1482.

Soltanto a periodi saltuari il barone don Luigi II poté vivere in casa sua con la moglie e con i figli, e dedicarsi alla conduzione dei suoi possedimenti feudali. Già il 1484 il capitano Luigi Castromediano fu richiamato in servizio, agli ordini di don Federico d'Aragona secondogenito di re Ferrante, e impegnato nelle operazioni militari per liberare il porto di Gallipoli preso dalle galee veneziane dell'ammiraglio Victor Soranzo. Al termine di tale servizio svolto con merito, Luigi II ebbe in concessione da don Federico, nominato Principe di Taranto e Conte di Lecce, la vasta tenuta coltivata a vigneto di Casalnuovo in territorio di Manduria.

Qualche anno dopo, apparsa chiara l'intenzione di Carlo VIII re di Francia di impadronirsi del regno di Napoli, re Ferrante estese alle città e ai casali del regno l'obbligo di rafforzare le difese e l'invito di essere pronti a respingere la minaccia nemica.

Il 1° gennaio 1488, convocati dal Capitano della Provincia si riunirono in Lecce i sindaci delle civiche Università, i baroni dei feudi e pure i vescovi e gli abati del Salento, per stabilire come e dove imporre il contributo straordinario di 200 ducati d'oro per provvedere al rafforzamento delle mura, delle torri e del castello del capoluogo. Anche se a malincuore tutti si impegnarono di corrispondere un tornese per ogni barile di vino mosto prodotto nei palmenti cittadini, baronali, ecclesiastici. A caldeggiare l'approvazione del nuovo pesante tributo straordinario fu proprio il barone di Cavallino don Luigi II Castromediano, il quale suscitò la stizza repressa e l'antipatia nascosta degli altri.

Il 24 gennaio 1494 morì re Ferrante d'Aragona e sul trono di Napoli gli successe il figlio Alfonso II; ma l'anno dopo questi abdicò e lasciò la corona al figlio Ferdinando o Ferrandino. Carlo VIII di Francia, non rassegnato, scese ancora una volta nel meridione d'Italia e il 21 febbraio 1495 entrò vittorioso a Napoli. Presto però gli altri Stati italiani e il Papato formarono una lega militare e tre mesi dopo costrinsero il re francese ad abbandonare Napoli e a tornarsene in Francia. Allora, tuttavia, nel Reame napoletano venne a mancare ogni potere politico e qualsiasi autorità sociale: una baraonda.

In tale stato di anarchia i rapporti tra civica Università demaniale di Lecce e i baroni del Salento divennero tesi e carichi di diffidenze e di sospetti; il Consiglio cittadino cercava di accrescere le proprie prerogative e competenze a danno dei feudatari, e questi difendevano con veemenza le proprie prerogative e i propri privilegi di autonomia.

La Regia Camera della Summaria (il tribunale provinciale) era oberata di ricorsi, di denunce, di cause, di processi. Il 24 marzo 1495 in Lecce presso la residenza del Capitano della Provincia, quale rappresentante del re (di quale?) convennero il sindaco Raffaele Lubello, i civili Giambattista Fioro e Domenico de Cristoforis, e i delegati dei baroni, tra cui Giovan Pietro Guarino, Antonello de Noha, Luigi Castromediano, Stefano Barone, Guglielmo Prato, Alessandro de Paladini, Mariotto Corso, Biagio de Maramonte, Petruccio de Montefuscolo.

Dopo una lunga e animata discussione, tra la civica amministrazione di Lecce e i feudatari della Contea fu concluso un "patto di concordia" e il concordato sanzionava che ognuno potesse vivere e operare nel rispettivo àmbito così come era vissuto e aveva operato in passato.

Insomma convennero …che per observare la unione, amore et benevolentia tra li dicti magnifici baruni et dicta magnifica università, utraqua pars si obligarà vivere in omnibus et per omnia sin come si ha vissuto et viveno…, che ciaschetuno de li ambi parti tenga et posseda zioè la Università li privilegi, gratie et immunitate franchigie et consuetudini et antiquo modo de vivere come ha tanto, posseduto et usato, et li baruni similiter loro baronie.1 Entrambe le parti ritirarono le querele, le denunzie e i ricorsi giudiziari presentati alla Regia Camera Provinciale e rinunziarono a qualsiasi azione legale prima intentata.

Tuttavia, nello stesso anno sorse una nuova controversia tra don Luigi II Castromediano e la città di Lecce. Il barone di Cavallino tornò a chiedere alla civica Università che i suoi ex vassalli, che avevano ottenuto la cittadinanza leccese e l'esenzione quinquennale dei tributi, per cinque anni continuassero a pagare le imposte alla Cassa baronale di Cavallino. L'Università respinse la richiesta citando il "patto di concordia" e il barone Luigi II si piegò a sottoscrivere la seguente dichiarazione: Io Loysi de Castromediano barone de Cavallino sto in accordo et vivo in pace cum la magnifica Universita de Leze et mo' et sempre serò figliuolo de ubediencia et ad fidem me subscrivo de mia mano propria.2

Morto re Ferrandino, a ventotto anni celibe, gli successe nel 1496 lo zio Federico d'Aragona. Nuovamente intervenne il re di Francia Luigi XII a rivendicare i diritti francesi sull'ex regno degli Angioini; altrettanto fece il re di Spagna Ferdinando il Cattolico a rivendicare i diritti spagnoli sul regno degli Aragonesi. E la lotta armata si svolse con alterne vicende, con frequenti tradimenti, riappacificazioni, nuovi cambiamenti di campo. Per solito, le città demaniali, i baroni feudatari si divisero: alcuni si schierarono con i Francesi, altri con gli Spagnoli.

Nella città di Lecce, mentre i filofrancesi e i filospagnoli si azzuffavano nelle piazze, il popolo girava per le strade al grido Viva lo bene comune!; dei nobili si distinguevano Gian Pietro Guarini e Antonello de Noha partigiani della Francia, Luigi e Giacomo Paladini, i Castromediano e la casa Prato partigiani della Spagna.

Alla fine della contesa, nel 1504, le province meridionali restarono a Ferdinando il Cattolico e il Regno di Napoli fu annesso alla Spagna, declassato al rango di Viceregno, e sarà governato (per duecentotrenta anni, fino al 1734) tramite i viceré di nomina regia e residenti a Napoli.


1 Libro Rosso della Città di Lecce, n. 68, fol. 113
2 Libro Rosso della Città di Lecce, Requisicio n. 87


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