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La Cappella del Monte, il Camposanto, la Comunità di Cavallino nell'800 | ||
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Ritrovamento dell’immagine della Madonna | La Cappella del Monte |
Ritrovamento dell’immagine della Madonna
L’anno 720 l’Imperatore di Bisanzio Leone III l’Isaurico, di religione cristiana, si dichiarò convinto fautore del culto di adorazione verso Dio e del culto di venerazione verso la Vergine Maria e i Santi della Chiesa, ma si dichiarò pure fermamente contrario al culto fanatico, materiale delle immagini: dipinti, mosaici, statue, medagliette, figurine della Madonna e dei Santi.
Il Pontefice di Roma, Gregorio II, non ammettendo che un altro si intromettesse in questioni papali e desse direttive in problemi religiosi, condannò l’editto imperiale ed esortò i cattolici a non ubbidire alle sovrane direttive; allora Leone III scatenò l’iconoclastìa, cioè la distruzione delle icone, di tutte le immagini sacre materiali, concrete, tangibili e visibili, e comandò ai suoi soldati sparsi nelle province dell’impero di imporre e di far rispettare gli ordini sovrani.
I soldati bizantini entravano nelle cattedrali, nelle basiliche, nelle chiese, nelle cappelle e raschiavano gli affreschi, scalzavano i mosaici, laceravano le tele dipinte, spezzavano le statue; con la mannaia rompevano le nicchiette incavate nelle facciate delle case; entravano nei palazzi signorili e nelle umili abitazioni e rompevano i quadretti dei Santi appesi alle pareti, frantumavano le statuine delle Madonne che i devoti tenevano sul comò dentro campane di vetro; sovente scudisciavano e minacciavano di morte coloro che tentavano di opporsi. Per circa duecento anni gli iconoclasti si dedicarono con accanimento a quest’opera di distruzione delle immagini sacre.
Dice la tradizione che un abitante del piccolo borgo di Cavallino, assai affezionato alla figura di Maria Santissima con il Figlioletto dipinta su una lastra quadrata di pietra, non ebbe il coraggio di frantumarla e distruggerla; ma aveva anche paura di tenerla in casa, temendo di essere scoperto e punito; e dunque prese la decisione di nascondere la santa immagine.
In una chiesura, cioè in un podere recintato del barone, in contrada li Capisci, poco discosta dal sentiero sterrato de li Culummi, c’era una piccola grotta, la Rutta, semipiena di terriccio e nascosta da frasche di mirtilli; proprio nell’interno di questa grotta quel pio cavallinese sotterrò la lastra con l’immagine di Maria Vergine.
Molti anni passarono: il devoto cristiano morì, morirono pure i suoi figli e poi i figli dei figli, e svanì il ricordo del sacro dipinto nascosto nella rutta.
Molto e molto tempo dopo, verso la metà del secolo XV, un bifolco, un giorno, condusse i buoi de lu patrunu barone a pascolare nel maggese del fondo la Rutta; per l’intera mattinata i bovini pacificamente brucarono l’abbondante erba del pascolo, mentre il loro guardiano si dilettava a sunare lu fràulu. Ormai sazie, verso il pomeriggio le bestie si sdraiarono all’ombra degli olivi e si misero a rigurgitare l’erba in bocca e a rimasticare il cibo.
Un bove, d’un tratto, si rizzò in piedi e difilato si portò all’imboccatura della grotta e con gli zoccoli anteriori cominciò a scavare in un punto ben preciso. Il mandriano notò quell’impegno insolito della bestia e si disse: «Cce sta’ ccumbina δδdu mìnchia de Murellu?»; tuttavia rimase seduto in attesa che l’animale tornasse a sdraiarsi sotto l’albero per ruminare, come al solito, insieme con gli altri bovini. Invece quello, ostinato, scalzando con gli zoccoli il terriccio dentro la grotta, scavava, guardava, annusava… come se cercasse un qualcosa,… scuoteva le corna e tornava a calpestare.
Al giovane vaccaro venne in mente un sospetto: «Dici ca sta’ ccerca nn’acchiatura?» - e lo raggiunse e si mise a sterrare anche lui, augurandosi di trovare un tesoro, nna pignata te ducati d’oru. Con il pungolo scavava e con entrambe le mani tirava il terriccio fuori dalla buca.
Ad un certo punto toccò un masso piatto e liscio – «Eccu lu chiancune de nnu sebburcu! Sutta nc’ete la furtuna mia!» – pensò, e il suo cuore ebbe un sussulto. Con più lena scalzò la terra intorno e, finalmente, apparve una lastra di pietra levigata, sulla quale notò delle coloriture alquanto sbiadite, trascinò la lastra alla luce del sole, osservò più attentamente e vide gradualmente apparire i contorni di una figura e i profili del volto di una donna e del viso di un bambino.
«Matonna mia! – sussurrò facendosi il segno di croce – Patre, Fìgghiu e Spiretusantu… Nnu meràculu!»
In fretta radunò i buoi e con il pungolo li eccitò a fare presto ritorno in paese, giunse in piazza e, senza nemmeno spingere le bestie nella stalla, corse nel palazzo a portare la notizia e a riferire della scoperta prodigiosa al suo signor padrone, il barone don Giovanni Antonio de Castromediano, proprietario della mandria dei buoi e del fondo la Rutta.
Signori, cameriere, servitori del palazzo si misero in agitazione – «À ccumparsa nna Matonna!…O Matonna mia beδδa!…» e, fintanto che il bovaro corse a recare il messaggio anche all’arciprete, la notizia straordinaria della scoperta si diffondeva di strada in strada, di casa in casa; e la gente man mano si radunava in piazza. Quindi il barone e la baronessa in carrozza e il parroco e i sei preti del Capitolo alla testa del corteo, tutti per la strada de li Culummi si portarono alla Rutta e venerarono l’immagine della Vergine Maria e di Gesù bambino.
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