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Sigismondo Castromediano
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Sigismondo cospiratore

Nel 1846 in tutta la Provincia di Lecce, tra la classe dei civili, soprattutto, tra gli intellettuali e i professionisti, notai, avvocati, medici, professori, impiegati, tornò a ravvivarsi il desiderio di libertà civile e di giustizia sociale. Proprio da questi ideali, allora da tutti i monarchi considerati sovversivi, il duchino Sigismondo fu attratto. …cominciò pian piano a guizzarmi nel cervello una certa avversione contro tutto ciò che parevami ingiusto e prepotente… - scrisse egli nelle sue Memorie.

E dunque, il 34enne nobiluomo cavallinese, mite di indole, equilibrato di carattere, spinto da uno spontaneo impulso di civile ribellione, aderì con decisione, temeraria a quel tempo, alla setta segreta della GIOVANE ITALIA, sezione di Lecce, da qualche anno introdotta nel Salento dall'avvocato Salvatore Stampacchia.

Ma Sigismondo - l'abbiamo già detto - era un moderato per indole, per educazione e per cultura; così che, quando nei dieci giorni di appartenenza alla GIOVANE ITALIA, partecipando alle riunioni segrete, dedusse che i seguaci del Mazzini nel pensiero e nell'azione si rivelavano sovversivi, faziosi, turbolenti repubblicani, egli che si sentiva un patriota innovatore e non un agitatore intransigente, egli che voleva essere un cospiratore riformatore e non un settario sovvertitore, non potendosi e non volendosi adeguare a loro, presto se ne staccò, e, da uomo franco e leale, scrisse una lettera di dimissioni, giurando che avrebbe tenuto sempre segreti gli affiliati alla setta clandestina. E mantenne la parola.

Giacché qualche critico ha accusato il Castromediano quanto meno di slealtà, se non di tradimento, verso il mazzinianesimo, cerchiamo noi, ora, i veri motivi di quel repentino voltafaccia di Sigismondo. Il Mazzini - lo sappiamo - era un politico puro che inseguiva un proprio mondo di aspirazioni che, in quei tempi, non erano suscettibili di realizzazione effettiva, perché il programma mazziniano presupponeva un popolo, quello italiano, maturo civilmente ed educato politicamente (il che non era proprio). È anche vero, però, che il Mazzini era un sognatore e pensava alla guerra di liberazione nazionale in termini romantici e non terroristici, non certo in termini di stragi e di massacri d'innocenti.

Comunque, il Castromediano, di temperamento positivo e concreto, vagheggiava una patria (agli inizi, una patria napoletana) ordinata e giusta, retta monarchicamente e governata dalle classi elette. Egli era persuaso che solo i galantuomini, sia nobili illuminati e sia civili istruiti e intraprendenti, avessero le capacità e le competenze e, dunque, il diritto-dovere di guidare i destini della nazione e amministrare, con senso di giustizia e di onestà, gli affari dello Stato. Sicché egli, dunque, moderato per carattere e per educazione, resterà sempre moderato anche per convinzione politica.

In quegli anni agitati, pure si dibattevano in campo nazionale le grandi questioni istituzionali. L'Italia dei 9 Stati indipendenti doveva essere unificata in Federazione o in Confederazione? (Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo piemontesi); oppure doveva essere una Repubblica unitaria? (Giuseppe Mazzini genovese); oppure una Repubblica federalista? (Carlo Cattaneo milanese); oppure un'unica Monarchia costituzionale? (Massimo D'Azeglio, Camillo Benso conte di Cavour).

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Sigismondo Castromediano (foto)

Il cavallinese Sigismondo in prosieguo di tempo sembrò prediligere la soluzione della unione consensiente dei nove Stati in uno Stato unitario, una sola patria italiana, però con reggimento monarchico costituzionale. E per questo il Castromediano venne in odio ai compatrioti napoletani, sudditi ancora fedeli ai regnanti Borbone; e per questo venne in avversione sia ai repubblicani unitari, sia ai repubblicani federalisti; e per questo venne in antipatia anche ai federalisti neo-guelfi.

Morto Pio VIII (1846), fu eletto Papa Pio IX, il quale presto concesse ai sudditi dello Stato della Chiesa un'amnistia a favore dei prigionieri politici; inoltre, gli ultimi mesi del 1847, accordò pure alcune riforme liberali: una moderata libertà di stampa, la Consulta di Stato con membri anche laici, il Consiglio dei Ministri, la Guardia civica. Grande entusiasmo popolare si diffuse in tutti gli Stati della penisola italiana: in ogni città si organizzarono cortei e adunate in piazza, e grandi folle acclamarono W il Pontefice di Roma, W il Papa liberale, W Pio IX, a dispetto dei propri sovrani assoluti e conservatori.

Sigismondo Castromediano più spesso si recava a Lecce e s'incontrava ora con l'uno e ora con l'altro degli esponenti liberali e con loro stringeva rapporti solidali. Pure in Cavallino egli cominciò a promuovere ristretti incontri politici, cui partecipava, tra i pochi, il leccese dott. Gennaro Simini, sostituto medico condottato di Cavallino.

Felici quei tempi! nel mio paesello non v'era da temere d'alcuna spia. In quelle sere, in sei o sette amici, insieme col Simini, ci radunavamo in mia casa, discorrendovi liberamente dell'infelice stato della patria nostra, e delle sue speranze.

Talora, come se si stesse in parlamento, pronunziavamo discorsi sul soggetto; e ricordo che quelli del mio amico finivano sempre con simil frase: - «Sta bene, o signori, ma se non si scacceranno i Borboni, non approderemo a nulla».1

Sotto la spinta liberale, seguirono l'esempio del Papa sulla via delle riforme, prima Leopoldo II di Toscana, poi Carlo Alberto Re di Sardegna. Il sovrano napoletano Ferdinando II, rigido sostenitore dei principii assolutistici, …niente! …nessuna riforma! …fiero reazionario contro i liberali.

I Palermitani si ribellarono tumultuando, l'insurrezione si diffuse in Sicilia e passò pure in Calabria. A sorpresa, il 20 gennaio 1848 S. M. il Re di Napoli annunziò la sua decisione di elargire ai suoi sudditi la Costituzione liberale.

Sigismondo annotò: …un messo mi consegnò, inviatomi dagli amici, un'asta con la bandiera da' tre colori nazionali…La lettera che accompagnava il vessillo annunziava: «Ottenemmo la libertà colla promessa d'uno Statuto - Stampacchia».2


In effetti Ferdinando II, sebbene a malincuore, il 10 febbraio promulgò e approvò il nuovo Statuto Costituzionale. Il 17 febbraio pure il Granduca Leopoldo II di Toscana accordò lo Statuto ai suoi sudditi, Carlo Alberto il 4 marzo lo concesse ai Sardi e ai Piemontesi, il 14 marzo anche il Papa promulgò la sua Costituzione. In tutto il Regno delle Due Sicilie si ebbero entusiastiche manifestazioni di esultanza con fiaccolate e scampanii e suoni di banda e grida: W lo Statuto Costituzionale!, W Re Ferdinando; su tutte le piazze fu eretto l'Albero della libertà e furono accesi fuochi d'artificio; in tutte le chiese fu cantato il Te, Deum di ringraziamento.

A Lecce il Sindaco Gaetano Mancarella nominò una Commissione con l'incarico di programmare festose ma ordinate e sorvegliate manifestazioni pubbliche di ringraziamento ed anche di sprone a S. M. il Re. Di tale Commissione facevano parte i liberali dichiarati Vincenzo Libertini, Pasquale Persico, Salvatore Stampacchia, Domenico Lazzaretti e Bonaventura Forleo.

I primi di marzo, in piazza S. Oronzo su un frontone fu dispiegata una grande bandiera verde bianca e rossa, con un'iscrizione inneggiante al re Ferdinando II che aveva concesso lo Statuto, a Vincenzo Gioberti che aveva avanzato il programma della Federazione degli Stati italiani con il Papa presidente, e alla Lega dell'Italia Unita che propugnava l'unità nazionale.

Accanto alla bandiera tricolore sventolavano pure le bandiere del Regno delle Due Sicilie, dello Stato Pontificio, del Granducato di Toscana e del Regno di Sardegna.

I festeggiamenti civici durarono tre giorni e vi concorse una folla entusiasta e frenetica di borghesi, di professionisti, di preti, monaci e pure popolani, e per le vie della città fu cantato l'inno patriottico composto dal poeta Giuseppe Falco e musicato dal maestro Nicola Consiglio.

Altro evento importante. Il re Carlo Alberto, sospinto dalle correnti irredentiste lombarde e nazionali, il 23 marzo del 1848 dichiarò guerra all'Austria. Mossi dall'ardore patriottico, si arruolarono volontari migliaia di giovani liberali e democratici provenienti da tutti gli Stati italiani; moltissimi partirono dalle province napoletane, anche dal Salento. A Cavallino, senza indugio, fu convocato il Consiglio.

L'anno mille ottocentoquarant'otto il giorno 16 Aprile in Cavallino = Riunito il Decurionato in numero opportuno presieduto dal Sindaco Vito Rizzo dal medesimo si fece estensiva una Circolare Ministeriale del 7 andante Aprile rimessa dal Sig.r Intendente in data de' 14 detto Mese 3° Uff.o acciò i Cittadini concorrano con le loro soscrizioni pecuniarie a favore dei Volontari che dovransi spedire nella Lombardia…
Considerando quali vantaggi emergono dal generoso atto degli Italiani Giovani che volontari si espongono alla difesa della Patria, per raccogliere delle offerte a favore di quanto loro è bisognevole nomina per Commissionati i Sig.ri
1° - Giuseppe Arigliani
2° - Luigi De Luca

E così han conchiuso -
Per i Decurioni analfabeti = Raffaele Forcignanò = Raff.le Totaro Fila = Raffaele Greco = Mariano Passaby -
Il Decurione Segretario Luigi Baldassarre
Gaetano Monittola
Ippazio Murrone

I Decurioni
P.° Ciccarese
Oronzo D. Garrisi
Luigi Baldassarre

Vito Rizzo Sindaco3

Tuttavia, il 23 aprile, in Lecce il direttore Leone Tuzzo e i collaboratori Sigismondo Castromediano, Francesco Pisacane, Bartolomeo De Rinaldis, Enrico Lupinacci pubblicarono il giornaletto Troppo Tardi, espressione dei malumori e delle diffidenze verso i criteri d'attuazione delle norme costituzionali.

Ma…, ma il 15 maggio 1848, a Napoli successero due fatti gravi: un primo aspro contrasto tra il Re e il nuovo Parlamento, e un conseguente scontro cruento tra truppe del Regio Esercito e plotoni della Guardia Nazionale, tra squadre di gendarmi e gruppi di liberali, e ci furono numerosi morti e feriti; di ciò approfittò il Re Bomba, pentito, per sospendere lo Statuto Costituzionale e tornare ai metodi polizieschi e repressivi. E fu ancora la delusione, e la rabbia si diffuse per tutto il Reame.

Due giorni dopo, la notizia dei luttuosi incidenti napoletani giunse a Lecce e la città fu colta da intensa commozione. Il 20 maggio, in piazza S. Oronzo colma di folla eccitata e tumultuante «…irruppe Nicola Schiavoni, signore di Manduria, con cappello a larghe falde, giacchetta di velluto e fucile ad armacollo, il quale gridò doversi creare un governo provvisorio»4.

A sera inoltrata fu nominato un Comitato speciale: Presidente fu il canonico don Giosuè Leone e membri furono Nicola Schiavoni, Vincenzo Balsamo, Salvatore Stampacchia e Brizio Elia. Ma presto risultò chiaro che tale comitato non era idoneo per preparare e disporre e comandare la resistenza armata alla rabbiosa reazione borbonica già trionfante nelle altre province napoletane.

E il 29 giugno i liberali progressisti leccesi in un buio locale sito nella piazza del vescovado, fondarono il CIRCOLO PATRIOTTICO SALENTINO «del quale fu Presidente Bonaventura Mazzarella e segretari Annibale d'Ambrosio, Oronzo de Donno, Alessandro Pino ed il duchino Castromediano. Si radunava in una stanza al largo del Vescovado, che ben presto diventò il centro della sommossa»5. Punto principale dello Statuto del Circolo era "il mantenimento dell'ordine pubblico, con ogni mezzo e nel rispetto assoluto della Costituzione napoletana del '48".

Nel proclama, successivamente redatto dai segretari e fatto distribuire in città e in provincia, i congiurati prevedevano per le Province napoletane eventualmente anche la formazione di un Governo provvisorio in attesa di affidare poi le nostre regioni ad un Sovrano liberale, se necessario anche straniero (e il pensiero si rivolgeva al Re di Sardegna, il quale proprio allora era impegnato nella prima guerra di indipendenza nazionale contro l'Austria).

I patrioti leccesi, aiutati dalla popolazione eccitata, cacciarono via le autorità costituite e si impadronirono della città, occuparono il Palazzo del Telegrafo, si impossessarono della Cassa Provinciale, alzarono barricate sulle vie di accesso, fortificarono il Castello piazzandovi altri cinque vecchi cannoni e distribuirono le armi ai cittadini ribelli.

Una vera sommossa, dunque: evidente contro il Governo centrale, implicita contro S. M. il Re. E gli insorti si prepararono per difendere la città e la provincia di Lecce contro le truppe regie, che già si erano mosse da Bari. E, difatti, nel mese di agosto, dopo aver riportato l'ordine in Taranto e in Francavilla, giunse a Lecce la famigerata 'Colonna mobile'; e i rivoltosi leccesi che cosa mai potevano contro la cavalleria e la fanteria del generale Colonna? I liberali si sbandarono, il Circolo Salentino si chiuse e l'insurrezione fu facilmente domata. Ultimato l'intervento militare nel Salento, entrarono in azione i gendarmi e la polizia borbonica, impegnati a "difendere l'ordine pubblico turbato da pochi sediziosi".

Dei responsabili della rivolta, Bonaventura Mazzarella di Gallipoli, Oronzo de Donno di Maglie e Gennaro Simini di Lecce fuggirono in Albania6.

Il duchino Sigismondo Castromediano, pur incitato dall'amico Intendente De Caro, rifiutò di scappare all'estero …per aver presa, insieme con alcuni amici, determinazione di non abbandonare la patria, parendoci viltà lasciarla nel momento del suo maggior pericolo7.

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Sigismondo Castromediano (foto)

1 S. CASTROMEDIANO, Memorie, vol. I, pag. 150.
2 S. CASTROMEDIANO, Memorie, vol. I, pag. 19.
3 Archivio comunale di Cavallino - Libro dei verbali del corpo civico - dal 1846 (manoscritto).
4 P. PALUMBO, Storia di Lecce, Congedo Editore
5 Idem
6 Tre mesi prima, l'8 aprile 1848, il dott. Simini dal Decurionato di Cavallino - Sindaco Vito Rizzo - era stato rimosso dall'inarico di Medico cerusico, per le sue prolungate ingiustificate assenze dal servizio. Il Simini si stabilì nella città di Scutari, definitivamente, vi conobbe e sposò la figlia del viceconsole inglese e vi esercitò la professione di medico.
7 S. CASTROMEDIANO, Memorie, vol. I, pag. 26


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