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Il dialetto leccese
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Dissomiglianze fonetiche e lessicali

Bisogna tenere presente che anche durante la romanità più profonda e sentita (fino a tutto il sec. V) la lingua latina parlata dalla gente di Rudiae, per esempio, di Lupiae, dei casali e dei borghi circonvicini, non era del tutto simile alla lingua latina parlata dalla plebe di Roma e dal volgo del Lazio. Sulle bocche dei nostri antenati discendenti dai Messapi-Sallentini le voci lessicali trasmesse dai coloni latini acquistavano una tonalità particolare, una cadenza tipica (teniamo presente, ancora oggi, la differenza sonora tra l'italiano parlato dai Toscani e l'italiano parlato dai Campani!); il modo stesso di pronunziare certe sillabe, certi nessi, era diverso, influenzato da secolari dissomiglianze fonetiche e da differenti abitudini linguistiche, dovute a dissimili sostrati fonetici antichi (ancora un Torinese a lungo residente a Lecce non imparerà mai a riprodurre certi suoni tipici della pronunzia leccese!).

A mo' d'esempio:

Invece di herba, oculus, frigidus, tabula si cominciò a dire popolarmente erva, oclus, frigdus, tavula; invece di camisia, pessulus, sanitatem, sunt (essi sono) parlando si pronunziava camisa, pesulu, sanetate, suntu; invece di calumnia si diceva calugna; invece di ius si disse iussu; sulcus diventò surcu, e praecoquus (precoce) diventò prima precocu > percocu e poi percuecu (pesco); ecc.

Ancora il popolo via via cominciò ad eliminare tanti vecchi vocaboli e prese a sostituirli con altri più congeniali. Ecco altri facili esempi, per dare l'idea. I Romani usavano dire 'bellus', aggettivo maschile, per significare 'bello, grazioso'; per indicare la guerra dicevano 'bellum', sostantivo neutro, e per loro non c'era da confondere i due nomi e i due significati.

Ma nel medioevo, quando caddero nel parlare le consonanti finali -s di bellus e -m di bellum, si ebbe una identica forma lessicale 'bellu' per indicare due concetti diversi, e quest'unica voce certamente ingenerava confusione. Perciò la parola 'bellu' rimase a significare soltanto 'bello e grazioso', e, per indicare la 'guerra, si usò il nome uerra, preso dal parlare dei neovenuti Longobardi dominatori, che infatti dicevano werra.

Nel frattempo i lavoratori dei campi tralasciarono di usare il termine equus (= nobile cavallo da cocchio e da sella) e gli preferirono la parola caballus (= ronzino, l'utile bestia da lavoro), anche perché, poi, per gente illetterata equus era da confondere con 'aequum' (pianura) e con 'aequus' (equo, giusto); vinse, pertanto, la voce popolare caballu, di comprensione più immediata.

Inoltre, i poveri come potevano usare il vocabolo domus (= abitazione ampia e bene arredata) se la propria dimora era un'umile piccola casa (casupola, capanna, tugurio)?; e dunque nel linguaggio comune prevalse quest'ultimo termine, casa.

E il popolano analfabeta, invece di presentare: 'uxorem meam' (la mia signora moglie), diceva semplicemente 'muliere[m] mea[m]' (mia moglie), successivamente diventato in leccese > mugghiere mea > mugghièrema; e indicando sororem suam disse soru sua > sorsa.

Infine, invece di continuare a chiamare avis l'uccello (che, per di più, si confondeva con avus = nonno) lo disse aucellus; e così invece di dire ovis la pecora, ebrius l'ubbriaco, scriba lo scrivano, apothecarius il bottegaio, labor il lavoro gratificante, li disse rispettivamente pècora, ebriacus, scribanus, putearius, fatiga (cioè lavoro faticoso), ecc.; al vocabolo leva preferì sinistra; a callidus > vitiosus; a hispidus > pilosus; a ludus > jocus; a urbs > civitas; a sus > porcus; ecc.; invece di cantare 'Dies illa' recitò 'tiesilla'.

Invece di anulus disse anellus (anello), e a cerebrum preferì cerebellum (cervello); al letterario os preferì il popolare bucca (bocca); invece di senex (vecchio) usò il più facile vetulus; ecc.

Al posto dell'antica voce emere usò comparare (comprare) e a lucere sostituì prima lucèscere e poi lucescìre (far luce), ecc.




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