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Ete veru Cavallino e i suoi soprannomi L'à' munta la pècura?

Cavallino e i suoi soprannomi

Sino a mezzo secolo fa a Cavallino erano diffusissimi i soprannomi (li ngiùri), i quali erano utili, per non dire indispensabili ed esclusivi, all'individuazione di ogni abitante del luogo e della sua famiglia.

I cognomi ufficiali riposavano registrati nei libroni dell'ufficio anagrafe del Comune e in quelli dell'ufficio parrocchiale, ed erano sconosciuti agli altri compaesani; nelle relazioni quotidiane e nei rapporti personali, ognuno conosceva la discendenza di ciascuno, ne usava il nome, ma nessuno ne ricordava o addirittura ne sapeva il cognome, tranne, logicamente, lu Ninu Cioffi addetto all'anagrafe comunale, papa Rafeli vice parroco, lu Michelinu te la posta portalettere, lu Luigginu esattore delle tasse e lu Cìcciu te l'acciprete sacrestano e pure messo esattoriale.

Se un forestiero chiedeva di uno, pronunziandone esattamente le generalità, nome e cognome e data di nascita, nessuno degli astanti sapeva lì per lì individuare e indicare la persona richiesta; e se ci si rivolgeva a lu Ntunùcciu capuuàrdia, l'unico vigile comunale, dopo una ponderata pausa di riflessione, si veniva a scoprire che il compaesano cercato, ma sì, proprio lui!… era lu Mmelùcciu Ramaru Carmelo il ramaio, o lu Mecu Pezzanculu cusçinu te lu Masi Furgulunaru Domenico lo straccione cugino di Tommaso fuochista, o lu Nzinu Cannizzaru Vincenzo fabbricante di cannicci; ma sì, non la conosci? è proprio lei!… la Ngicca Maca Francesca l'indovina, o la Tumènica Rosacandora Domenica bella come rosa odorosa.

Chi non aveva un nomignolo veniva generalmente indicato col nome proprio e l'aggiunta del nome proprio della madre, se questo era un nome poco comune e, perciò, facilmente individuabile: lu Pippi te la Pennardina Giuseppe il figlio di Bernardina, lu Totu te la Crucefissa Salvatore il figliolo di Crocifissa (una sola in paese ce n'era di tal nome!); se i nomi erano comuni, invece, e frequentemente usati, l'interessato veniva denominato con l'aggiunta del nome proprio della madre, più quello (se necessario) della nonna e con il relativo eventuale soprannome: la Pascalina te la Marìa Salata Pasqualina figlia di Maria l'insalata, l'Ucciu te la Pippi te la Caitana Antonio figlio di Giuseppa, la figlia di Gaetana; lu Ntinu te la Chicca te la Ndata Ciuara Costantino figlio di Francesca, la figlia di Addolorata la venditrice di uova.

Come si è potuto notare, era generalmente usata l'indicazione matronìmica (difatti, la madre è la genitrice certa e sicura!), senza comunque tralasciare, anche se di rado, l'indicazione patronìmica, la precisazione, cioè, del nome del padre, congiunto al di lui mestiere, ed anche al nome del nonno: la Pippi te lu Pascalinu te lu pane Giuseppa la figlia di Pasquale il fornaio; lu Carlu te lu Totu de lu Federicu Carlo figlio di Salvatore a sua volta figlio di Federico; qualche volta, infine, l'indicazione era promìscua: l'Ucciu te la Irene te lu Pici Mulenaru Antonio figlio di Irene la moglie di Luigi il mugnaio (perchè di Irene in paese ce n'erano altre); la Nina te la Pippi te lu Luigginu Anna figlia di Giuseppa la moglie di Luigino, ed anche: la Uccia te lu Giuanninu te la Sara Raffaeluccia figlia di Giovannino figlio di Sara.

Se, poi, un tale e una tale erano sposati, allora li si indicavano rispettivamente: l'Angiulinu te la Metirde de la Sara Angelo che appartiene a Matilde figlia di Sara (da distinguere dalla Metirde te lu Pippi Moru) o, viceversa, la Metirde te mèsciu Angiulinu Matilde che appartiene a mastro Angelo; la Pippi te lu Micheli Sciufferre Giuseppa moglie di Michele autista (facile da individuare, poiché Michele, sì, era un nome assai diffuso, ma autista allora era lui e lui soltanto).

Frequenti, comunque, sono i mutamenti delle indicazioni d'identità: da nubile era la Mmela te l'Eduardu Pasularu Carmela figlia di Edoardo il fagiolaio, e da maritata diventa la Mmela te lu Pici Scicchi Carmela moglie di Luigi il raffinato; e, analogamente, c'era il celibe Ronzu te la Còrnula Oronzo del giardino denominato 'Carruba', il quale da ammogliato diventa lu Ronzu te la Tetti Naneδδa Oronzo marito di Antonietta la bassina.

Man mano, però, che la popolazione del paese aumentava, oppure veniva ad abitarci qualche forestiero, si rendeva necessario appioppare un epiteto a chi ne era privo, e ciò per discernere e specificare i numerosi casi di omonimia. Pertanto, una circostanza fortuita, un fatto speciale, un caso futile o serio, un motivo particolare suggeriva un nomignolo caratteristico e personale, e poteva venir fuori un soprannome affettivo, vezzeggiativo o scherzoso: Musitezzùccaru dalle labbra dolci come lo zucchero, Pierdimissa che abitualmente dimentica di ascoltare la santa messa nelle feste comandate, Tumitilla ragazza sbarazzina; un soprannome càustico e graffiante e persino insolente: Fimmeneδδa uomo vagheggino effeminato, Senzacuiδδa privo di virilità e impotente, Senzaminne donna con seno scarsissimo, Canìgghia persona con crusca al posto del cervello, Cacarone uno che scoreggia sonoramente, Zinzulusa trasandata sbrindellata; oppure era un nomignolo attinente al mestiere esercitato: Cconzalìmmure conciabrocche, Craunaru venditore di carboni, Farnararu fabbricante e venditore di stacci e vagli, Ferraru fabbro ferraio, Paritaru costruttore di muricce a secco, Scarparieδδu ciabattino non molto esperto; oppure attinente al luogo d'origine: Capustieδδu originario di un paese del Capo di Leuca, Castriotu oriundo di Castro, Sichilì originario di Seclì, Curfiotu proveniente da Corfù; oppure, infine, riferentesi a un difetto fisico o morale: Ntartàgghia balbuziente, Tappu tracagnotto, Piritosu petomane, Purcìcchiu porcello, porcellino, Mbrùgghiu imbroglione, Spùrchia parassita sfruttatore, Sçiutìu traditore, Teu ateo, miscredente, Recuttara donnaccia meretrice.

Un nomignolo, un epìteto, comunque, che presto veniva accettato nella cerchia degli amici suscitando il riso, ma poi si diffondeva tra i conoscenti, veniva accolto dalla comunità e si incollava sull'interessato come un marchio indelebile, il quale col tempo finiva per diventare addirittura un subcognome della famiglia e della stirpe; persino un soprannome che si richiamava ad un termine prettamente maschile (quale può essere Calibbardi assegnato dapprima ad un uomo patito dell'eroe G. Garibaldi), veniva trasmesso, poi, anche alle figlie; si era avuto, difatti, lu Pici Calibbardi (di nome proprio Luigi Ciccarese) e alla sua morte successero la Giuannina Calibbardi, la Nnita Calibbardi.

Pure a me avevano appioppato un nomignolo personale: gli amici avevano cominciato a chiamarmi confidenzialmente Spirdu, cioè a dire 'Spiritello, Folletto', perché ero piccolo di statura ma assai svelto, ero assai veloce nella corsa, e, quando si giocava a moscacieca (a scundilucerte), sparivo come una faina e poco dopo ricomparivo come uno 'Spirito>Spirdu'. Il soprannome mi durò pochi mesi, in quanto che gli amici, che venivano a trovarmi e senza malizia chiedevano di me Ucciu Spirdu, venivano accolti da mia madre, la quale li sgridava agitando il matterello e minacciandoli che avrebbe loro spezzato le gambe se avessero continuato a chiamarmi «Spirdu» .

A Cavallino se ne sono contati 190 di soprannomi. Oltre quelli citati nei precedenti esempi e in altri passi, èccone altri (non tutti, però: sono esclusi i nomignoli precari); vengono citati i più esemplari, quelli assegnati a più di una generazione e tuttora in uso: Ballara, Bellaluna, Bussu, Caccavella, Cagnateδδa, Caialuru, Capitemazza, Cardacò , Carrinu, Cauru, Cazzati, Cciticani, Chiuδδu, Cinese, Craparu, Cunùcchia, Cuta, Dicatea, Dolire, Farra, Filottu, Giangiarra, Lessìa, Macanza, Mancinu, Manera, Mangaffa, Masçarianu, Mastàgghiu, Mbrufecune, Megnu, Mirasçu, Muδδìcula, Moru e Morettu, Mùsciu, Ncula, Nziδδi, Nzugna, Nzummieδδu, Ozza, Paδδa, Pagghiara e Pagghiareδδa, Pampu, Pappacallu, Parasassi, Pasularu, Pauleδδa, Paulìcchiu, Peppàcchiu, Peppiceδδa, Pesaturu, Pesieδδu, Piccianna, Pilijancu, Pingi, Pintu, Pizzinacu, Populubassu, Puδδi, Pueta, Ramati, Rèccia, Riδδu, Salata, Sanapu, Sapale, Scanciuδδu, Scarra, Sçattapignate, Sçianne, Scicchi, Sciδδa, Sçiòsçiu, Sçiutìu, Scrianu, Scubbatu, Scuèscia, Sculoppu, Scusçetatu, Senzacarcagne, Senzacapu, Senzarìcchie, Sichilì;, Sigghiulu, Sosarieδδu, Spenturatu, Spigghiòttula, Surge, Tacumba, Tappu, Tranquillu, Trecentu, Trentattrete, Tromba, Zenzone, Žužžù .

Con l'istituzione delle scuole elementari obbligatorie anche nei villaggi, come Cavallino all'inizio di questo secolo, i ragazzi, essendo presenti all'appello giornaliero, imparavano i cognomi autentici dei compagni di classe; da allora, pertanto, i soprannomi cominciarono a scemare, a diminuire via via sempre più sensibilmente, senza essere, però, del tutto sopraffatti e soppiantati dai cognomi ufficiali.

E per finire questa sintetica disamina sui soprannomi, si segnalano alcuni nomignoli derivati da errori commessi nel pronunziare un vocabolo. Per esempio: un tale si ebbe appiccicato l'epiteto Curgiulu (con la g-) poiché in questo modo egli abitualmente pronunziava il nome curciulu (cuccioletto, neonato, ingenuo); un altro, invece di dire correttamente in leccese nu sse pote (it. non si può), volendo italianizzare ripeteva caparbiamente nonzipò , e Nonzipò fu soprannominato; e i membri di quell'intera famiglia furono soprannominati Sapale perché così ostinatamente pronunziavano, invece che sepale (siepe folta).

Comunque, per concludere, i soprannomi sono preziosi documenti di vita paesana; a ben guardare, danno interessanti notizie sugli aspetti demografici, sociali ed economici, sui costumi e le usanze della comunità cavallinese di tempi vicini, a dire il vero, che tuttavia sembrano di epoca assai remota.




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