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La Cappella del Monte, il Camposanto, la Comunità di Cavallino nell'800
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La Cappella del Monte Il Cimitero comunale Nascita e morte di un bambino

Il Cimitero comunale

Nell’Archivio parrocchiale di Cavallino si conserva un interessante Liber Mortuorum, lu libbru te li muerti. Nel primo ATTO del 9 agosto 1753 l’arciprete don Giovanni de Pandis registrò che Benedetto de Pandis, di anni 79 circa, spiritum reddidit Creatori et sepultus fuit in Parochiali; il 19 agosto certificò che Andriana Longo, di anni 10 circa, exalavit animam et sepulta fuit in Parochiali. Parimenti altri corpi di morti, dopo il rito funebre, tolti dalla bara avvolti nel lenzuolo, furono calati nelle 14 fosse sepolcrali ricavate sotto il pavimento della Chiesa Madre. Poi, nell’ATTO di morte del 7 settembre il parroco annotò che il reverendo don Mauro Ippazio Murrone, di 79 anni circa, sepultus fuit in Ecclesia Parocchiali in sepultura ordinaria Sacerdotum, la quale si trovava dietro l’altare maggiore, scavata sotto il pavimento della zona presbiteriale e riservata ai preti.

Invece, in data 22 ottobre 1753 il medesimo parroco certificò che la vedova novantenne Maddalena Ferro sepulta est in Ecclesia SS. Dominici et Nicolai ubi se elegit sepulturam; evidentemente essa, da viva, aveva espresso la personale volontà e preferenza di essere seppellita nella Chiesa del Convento, che allora – come afferma il succitato documento parrocchiale – era ufficialmente intitolata e dedicata ad entrambi i taumaturghi: l’antico patrono S. Nicola di Mira o di Bari e il nuovo S. Domenico di Guzman.

Nel periodo che va dal 1754 al 1761, su 90 defunti (stranamente nel Liber Mortuorum non risultano registrati i bambini deceduti in età inferiore ai dieci anni), 81 cadaveri vennero sepolti nelle fosse comuni della Chiesa parrocchiale, 6 sacerdoti nella Parrocchiale nella tomba a loro riservata, 3 solamente nelle sepolture della Chiesa del Convento, che era curata dai PP. Domenicani.

Siamo all’anno 1813. Da cinque anni sul trono di Napoli sedeva il re francese Gioacchino Murat. Egli con regio editto ordinò a tutte le Città e a tutti i Casali del Regno di approntare, lontana almeno 300 metri dall’abitato, una zona recintata da adibire a Cimitero, dove sotterrare i cadaveri dei cristiani. Ricordiamo che, nei tempi passati, i corpi morti avvolti nel lenzuolo funebre, finiti i riti di esequie, venivano tolti dalla bara di legno e calati in sepolture comuni e in ossari scavati sotto il pavimento della Chiesa Parrocchiale e, probabilmente, sotto quello della Chiesa dei SS. Nicola e Domenico.

A Cavallino il Sindaco Benedetto De Giorgi convocò il Decurionato, cioè il Consiglio Civico, lesse l’editto del Re e chiese di deliberare in merito. I Decurioni esaminarono il bilancio, sottrassero le uscite certe dalle entrate presunte e constatarono che nella Cassa Comunale non rimanevano soldi sufficienti per poter acquistare un campo; pertanto chiesero umilmente a S. M. il Re l’assenso a rimandare di qualche anno l’istituzione del Cimitero.

Proprio quell’anno, in aprile, Re Gioacchino, che si recava a Otranto passando per Cavallino, fu informato delle tristi condizioni economiche e delle scarse possibilità finanziarie del paesello poverello, privo addirittura anche della Casa Comunale, e il Re circa il cimitero accordò un rinvio e circa la sede degli uffici comunali diede in proprietà all’Amministrazione Civica i locali dell’ex Convento e quelli di Frattumasi, ormai da cinque anni lasciati liberi dai P.P. Domenicani, incamerati dal demanio e rimasti inutilizzati.

Ma la proroga all’approntamento del cimitero durò parecchi anni proprio per mancanza di soldi, e finalmente nel 1834 il Sindaco massaro Pasquale Garrisi, proprietario della vicinissima masseria Monte, poté acquistare un campetto, adiacente al piccolo tempio della Matonna te lu Monte, una zona ricca di terra e adatta, dunque, per scavarvi i solchi e praticarvi l’inumazione dei morti.

Il santuario e la zona cimiteriale furono inclusi nel medesimo recinto e formarono un tutto unico, sicché la “Chiesa te lu Monte”, in seguito, sarà chiamata la “Cappella te lu Campusantu”, e da allora Maria Vergine e Gesù bambino non saranno più soli e trascurati, ma riceveranno più frequentemente il devoto omaggio dei molti che verranno a salutare i cari parenti defunti.

Addossato alla parete della chiesetta, a sinistra di chi entra, fu costruito un umile alloggio per l’oblato laico; l’anno successivo il cimitero fu benedetto dal Vescovo della diocesi di Lecce, mons. Nicola Caputo, e il Decurionato nominò un inserviente con la doppia mansione di custode del Campo Santo e custode della Cappella della Vergine del Monte.

In quel tempo frequenti erano le epidemie contagiose; dunque, presto si constatò che il suolo benedetto del cimitero non era bastevole ad accogliere i numerosi morti, grandi e piccini, di quegli anni. Per esempio, nel quinquennio 1835/39 su circa 1000 abitanti si ebbero 173 nascite e 117 decessi.

Il Decurionato di Cavallino – Sindaco Luigi Baldassarre, speziale – nel 1841, ottemperando alle disposizioni ministeriali, acquistò un’altra piccola zona di terreno «esistente alla distanza di circa quaranta passi da detto Camposanto, il quale fu creduto all’uopo analogo», cioè riservato a seppellirvi «i bambini morti senza battesimo e coloro che indegni si rendono della sepoltura ecclesiastica».

Probabilmente questo luogo non benedetto non fu mai utilizzato; infatti, dalla lettura degli atti di morte di quel periodo si deduce che i neonati, causa le consuete e frequenti morti infantili, venivano battezzati il giorno stesso della nascita e, in caso di urgenza, se non era disponibile il parroco né alcuno degli otto sacerdoti paesani, era pronta e autorizzata la mammana presente al parto a impartire “sub conditione” il sacramento del battesimo in pericolo di vita, e, se sopravveniva il decesso, il corpicino esanime veniva sotterrato nella zona benedetta.

Quando una persona anziana era colta da infarto cardiaco o da ictus cerebrale ed era impedita di fare l’ultima Confessione sacramentale e ricevere l’Eucaristia, il buon parroco nell’atto di morte dichiarava… di ricordare che… detta parrocchiana defunta aveva a tempo debito ottemperato al precetto pasquale, e dunque la faceva inumare nel luogo benedetto; che egli parroco era stato informato che quel compaesano, trovato morto nella pagghiara di campagna, aveva al collo la speràgghia della Madonna, prova che era un credente; e che pure a quell’altro sçiutèu bestemmiatore, che non andava mai a messa, era stata trovata nel taschino della giacca nna ficurina de S. Giseppu, patrunu te la bona morte; dunque, tutti i defunti, nessuno escluso, erano meritevoli di essere sepolti nella zona benedetta del campo santo e non nel suolo segregato e discriminato.

Ma la situazione di entrambi i luoghi santi, cappella e cimitero, si degradò talmente che «L’anno 1846: il giorno 23 del mese di Agosto, nella solita Sala Comunale (nell’ex Convento) di Cavallino = Riunito il Decurionato del sudetto Comune in numero opportuno = Il Sindaco disse: Signori, dietro reclami di molti nostri concittadini, mi fu fatto conoscere che il Custode del Camposanto Domenico Giannone ed insiememente Custode della Cappella della Vergine del Monte Protettrice del Paese, attaccante al Pio Stabilimento e serviente anche di Cappella al medesimo, abbusando della località ingombrò di paglia la stanza di sua abitazione e si trasferì per abitare nella Cappella, e non curava sbarbicar l’erbe che sulla terra santa eran cresciute.

Sorpreso di tale annunzio, invitai il Parroco, i Deputati del detto Camposanto, un Decurione ed altri cittadini e sacerdoti, e mi portai a verificare il fatto. Tutto era disordine ed indecenza = La moglie del Custode inferma stesa sul paglione nella Chiesetta; pollastri e galletti saltellanti sull’altari; vasi di uso d’ogni genere sperperati per ogni punto della Chiesa; lettame e vittovaglie ammonticchiate qua e là. La stanza veramente, come si dicea, piena di paglia, ed il Camposanto ridotto ad erba da foraggio appositamente in parte mietuto per profitto. Altre volte per consimili mancanze aveamo avvertito il detto Custode d’arrestarsi dal disordine, ma egli continuando nel cotal fare mi ha deciso di cacciarlo come Custode della Cappella e di sospenderlo come quello del Camposanto, per perorare da Voi e dal Sig.r Intendente la sua totale dimissione = I Decurioni = Inteso il Sindaco ed ognuno di essi conoscendo personalmente di vista e di fatto ciò che narrava, lodarono le disposizioni da esso date ed unanimemente priegano l’Autorità Superiore destituire il Giannone ed autorizzare il Sindaco alla nomina di un nuovo Custode e sì conchiuse = Decurione Segretario Luigi Baldassarre = Giuseppe Arigliani Sind.° »

Nel corso del 1847 il Decurionato tornò a occuparsi della Cappella del Monte e nella seduta del 3 giugno il Sindaco Vito Rizzo di Francesco ebbe a dire: «Signori = Vi è nota la divozione del nostro paese per la Vergine del Monte nostra Protettrice, e della concorrenza dei cittadini e dei forestieri che nella sua Cappella per bisogni spirituali continuamente concorrono. E’ da notar pure che detta Cappella è la stessa appartenente al culto del nostro Campo Santo. Ma infelicemente questo Ostello di giorno in giorno va a perire ed ora più che mai minaccia ruina».

L’anno dopo un’altra incombenza gravò sulle scarne finanze del Comune: la zona cimiteriale destinata alla inumazione dei cadaveri risultava esaurita, ingombra com’era di salme di defunti, e si rendeva perciò necessario e urgente l'ampliamento del cimitero.

I primi di aprile il Sindaco Vito Rizzo pregò il Sig. Intendente della Provincia di voler nominare degli esperti con l’incarico di fare un sopralluogo, di effettuare un’ispezione e di presentare una perizia sullo stato ricettivo del Camposanto. Il relativo verbale dice: «Il Sig.r Intendente incaricava l’Ingegnere Sig.r D. Gaetano Casetti, il nostro Professore Sanitario Condottato e la Deputazione di detto pio Stabilimento a verificare l’esposto. Costoro, ognuno per la sua parte conchiuse essere vero l’ingombro dell’aja del Camposanto e non restarvi altro luogo se non per tre o quattro Cadaveri: che per non cimentare la pubblica salute a causa del mefitismo sviluppante dai Cadaveri non intieramente consunti e macerati, non si può ricominciare l’interramento da capo…», e dunque è necessario e indispensabile ampliare il cimitero acquistando altro terreno limitrofo.

La soluzione era logica ma era difficile da attuare, poiché la Cassa comunale come al solito era quasi esaurita e, per realizzare la proposta degli esperti, il Comune avrebbe dovuto imporre una nuova tassa agli abitanti già gravati da altre pesanti imposte e tributi.

Allora i Decurioni ebbero una felice idea; il 29 giugno si riunirono in numero legale e lanciarono una loro proposta: tornare a seppellire i morti, come si faceva prima, «nella Chiesa Matrice, la quale offre quindici ben ampie sepolture, considerando che tale Chiesa è sita in luogo excentrico dell’abitato e quasi fuori o sul confine dello stesso, circondata da ampio spazio; egualmente che il Convento degli ex Padri Domenicani, in dove sonovi tre sole sepolture…». L’Intendente della Provincia, con Ufficio n. 5793 del 17 agosto 1848, concesse l’autorizzazione e, come risulta anche dagli Atti di morte dell’Archivio parrocchiale, i cari defunti cavallinesi tornarono ad essere sepolti, come in precedenza, nelle 15 tombe della Matrice Chiesa.

Trascorsero soltanto quattro mesi e il Sindaco, contrariato, informò i Decurioni che «la camera contigua alla Cappella della B. Vergine del Monte di proprietà del Comune si è sfondata nel tetto»; e il Consiglio stanziò ducati 4 e grana 81 per la riparazione, senza tentennamenti. Questa volta i soldi c’erano in Cassa, infatti il Decurionato con un espediente era riuscito a contrarre la spesa corrente: «per causa che il Camposanto provvisoriamente è stato sospeso nel suo esercizio… il nostro Serviente comunale ha cessato anche provvisoriamente nella qualifica di Becchino di prestarsi il suo servizio – Ora siccome prima dell’istituzione di detto Pio Stabilimento egli percepiva soli D.ti dodici per stipendio annuale, ed istituito il Camposanto fu elevata tal pensione a D.ti Ventiquattro annui perché dovea a sue spese condurre i Cadaveri e farvi le fosse, così è giusto che… il soldo annuale si riducesse un’altra volta a D.ti dodici.

– Mìnchia zu papa!

Da tale complessa soluzione, l’unico ad uscire danneggiato fu, dunque, Ippazio Aprile. Ormai vecchio, mèsciu Pati chiese che almeno i Decurioni gli affiancassero come aiutante il figlio Ntunùcciu; gli Amministratori trovarono vantaggiosa per il Comune la proposta e deliberarono, quindi, di nominare Antonio Aprile Serviente e Becchino cooperatore di Ippazio, con il compenso annuo di 6 ducati per il padre e 6 per il figlio! – À’ capitu, li furbi?

Dopo la destituzione del custode Domenico Giannone, a ripulire la Cappella della Madonna era stato incaricato dal Sindaco Vito Rizzo di Francesco il campagnolo Vito Rizzo fu Pasquale il quale, alto, macilento e dinoccolato, non veniva mai scelto dai proprietari e dai massari come lavoratore stagionale e nemmeno giornaliero; il poveretto, mazzu comu nnu candellinu sucatu, aveva bisogno di guadagnarsi un tozzo di pane da mettere sotto i denti, invece per la sua gracilità non trovava da lavorare e soffriva la fame e diventava sempre più mingherlino.

Anche per questa ragione, dunque, il Decurionato gli affidò l’incarico di curare la cappella e di mantenere pulito e in ordine il cimitero in cambio dell’alloggio gratuito e del compenso de nna grana e menza al giorno, un’elemosina per non morire di fame.

Erano annate di carestia quelle, e la città e i paesi erano invasi da numerosi accattoni: vecchi decrepiti, donne cenciose, ragazzini emaciati; sicché il 14 gennaio 1853 il Sig. Intendente della Provincia dispose con Circolare n. 65 che i mendicanti laici o oblati dovevano essere nominati dal Decurionato e dovevano essere muniti di licenza per questuare. «Ed è perciò che il sudetto Sig. Sindaco (Oronzo Nicola Ingrosso) sulla considerazione che in questo Comune avvi la Cappella della Vergine del Monte, la quale debbia esser retta ed abbitata da un Oblato, così che all’oggetto propone come Oblato della medesima Vito Rizzo del fu Pasquale, attualmente ivi dedicato alla custodia della Casa e della Cappella della detta Vergine, come quegli che è divoto ed onesto per tale incarico: alla quale nomina il Decurionato ad unanimità fu affermativo, e così fu conchiuso»

«Giusta gli ordini del Sig. Direttore del Real Ministero dell’Interno,… il Sig.r Intendente… aveva autorizzato l’esecuzione dell’abbisognevole Ossario al Campo Santo», dove accumulare e conservare e non disperdere le ossa dei cristiani via via disseppelliti dopo i trascorsi dieci anni dal seppellimento. I lavori non furono dati in appalto, ma furono eseguiti in economia dalla Deputazione Comunale alle OO. PP., e, nella seduta del 17 marzo 1853, il Decurionato liquidò la spesa totale ascendente a ducati 40, «incluso anche il dritto all’Ingegnere progettista», con un risparmio notevole «sul riflesso che dallo scavo ivi in quel luogo pratticato niun materiale è stato inserviente all’uso», ma i conci di leccisu cavati furono utilizzati per completare il muro di recinzione.

Nel corso della medesima seduta il Consiglio approvò «corrispondersi l’onorario di d.ti quattro e grana ottanta all’Ingegnere Sig.r Marsano per le operazioni da lui eseguite in unione della Deputazione del Campo Santo e del Professore Sanitario Condottato per la verifica sul disseccamento de’ Cadaveri inumati al Campo Santo».

Il verbale della riunione venne approvato all’unanimità, a voce e con il cenno positivo del capo, dai Decurioni non scribenti: Raffaele Totaro Fila, Ippazio Luigi De Matteis, Vincenzo Giannone, Raffaele Greco, Salvatore Caricato e Oronzo Ciccarese, = e venne sottofirmato dal Decurione Segretario Luigi Baldassarre, dai Decurioni Vito Rizzo, Pasquale Murrone, Giovanni de Pandis e, più sotto ancora, da Oronzo Nicola Ingrosso Sindaco.

L’anno 1845 donna Teresa Balsamo, l’infelice moglie di don Domenico Castromediano, era morta a Lecce in casa di suoi parenti, perciò era stata sepolta in un semplice loculo del cimitero cittadino. Nell’ottobre del 1853, dietro supplica dei figli Sigismondo (allora carcerato a Montefusco), Chiliano e Costanza, il Capo della Provincia accorda la traslazione dei resti di donna Teresa dal cimitero di Lecce a Cavallino, e invita il sindaco Domenico Buccarelli di indicare il luogo dove «deporsi gli ossami della detta defunta». Il Decurionato di Cavallino, «intesa la proposta del Sindaco e letto l’Uffizio del Sig.r Intendente, ad unanimità di voti delibera dovèrsino trasportare l’ossa della Duchessa nella tomba di famiglia della Chiesa del Convento degli ex Domenicani.»

La conduzione e la cura del cimitero comunale da parte del custode e del becchino certamente non era soddisfacente se il Decurionato il 18 febbraio 1855 sentì la necessità di dettare il regolamento e di indicare i compiti dei due addetti: «di cioè aprire a loro spese i solchi del Campo Santo, seppellirvi cadaveri gratis, di manutenere il Campo Santo, come pure pulendo d.to Campo Santo, seppellire le ossa nella Carnaria. E come si è prattecato dall’antecessori, come pure restituire la Bara in paese quando si trasportano i cadaveri nel Campo».

Dietro premuroso e interessato suggerimento del sacerdote don Bonaventura de Giorgi, il quale progettava di erigere un’edicola particolare familiare, i primi di maggio del 1856 l’Intendente della Provincia di Lecce chiese agli Amministratori del Comune di Cavallino di pronunziarsi circa l’opportunità di annettere alla sezione cimiteriale il giardino retrostante alla Cappella della Madonna del Monte; questo poteva poi essere venduto a privati in minimi lotti da destinarsi a tumuli riservati di famiglia. Il costo dell’operazione sarebbe ammontato a non più di 50 ducati, secondo il progetto presuntivo dell’ing. Verri di Lecce.

Il Decurionato discusse a lungo sull’argomento, infine espresse parere negativo «considerando d’altronde che la Comune nello stato tròvasi oberata di obbligazioni più urgenti a dovere eseguire, come sarebbero la Strada (Cavallino-Lecce) in costruzione, la Campana della Chiesa Madre, la Casa Comunale, la Cappella dell’Annunziata ch’è crollata, e tutte queste cose a fronte di strettissime risorse».

La zona dei solchi si rivelò oltremodo scarsa in occasione della grande moria dell’anno 1858. Perciò, le famiglie di Donato Murrone speziale, di Gioacchino Totaro Aprile proprietario e di Raffaele Forcignanò possidente, inoltrarono al sindaco Buccarelli istanza per avere in concessione una delle sepolture della Chiesa Parrocchiale, di patronato comunale, per seppellirvi i propri morti. Ma il Decurionato respinse la richiesta, per la ragione che se il privilegio veniva concesso ad alcuni cittadini, poi bisognava «accordare tal permesso» a tutte le famiglie richiedenti.

L’anno dopo si presentò una ennesima emergenza per il Comune di Cavallino. Nella riunione del 6 novembre 1859, il Sindaco disse: «Signori = Questo Campo Santo è colmo di Cadaveri e quindi non evvi capienza per sotterrarvi Cadaveri che potranno darsi… Il Decurionato, considerato non esser trascorso il termine voluto dai regolamenti dacché l’altra fiata si pulì col depositarsi l’ossame nella Carnaria – Delibera umiliarsi al Sig.r Intendente, autorizzare che fintantocché non giungerà il termine per potersi pulire il Campo Santo, si potesse sepelire i Cadaveri in questa Matrice Chiesa e in quella degli ex Domenicani, non trovando diversamente altro espediente a praticare all’uopo».

In verità, era rimasto nella zona benedetta un unico posto, che toccò a Orazio Monittola, di anni 58, il quale refectus sola Sacramentali Confessione, quia fuit in periculum vitae, sepultusque fuit in Campo Sancto.

L’umile istanza fu accolta ancora una volta dall’Intendente; e il 26 febbraio 1860 (l’anno della fine del Regno dei Borboni e dell’inizio dell’Unità d’Italia) il Sindaco di Cavallino Vito Rizzo ebbe rimborsati ducati 7 e grana 99 per spese da lui anticipate «per la formazione del Portone di Legno pel Campo Santo, una lastra di pietra Leccese per l’Ossario del Camposanto stesso, per cinque lastre di pietra per le due sepolture della Chiesa del Convento che debbono servire per la provvisoria tumulazione dei Cadaveri fintantocché non sarà pulito detto Camposanto».

La defunta Maria Greco, di anni 60, morans in Masseria dicta Santelenella, fu la prima di questa tornata ad essere sepolta nella Chiesa parrocchiale, mentre il primo ad essere seppellito nella Chiesa dell’ex Convento fu Salvatore Esposito, di mesi 3, “parentibus ignotis”.

Nel corso dell’intero anno 1860, dei 23 morti: 18 furono accolti nelle sepolture comuni della Chiesa Parrocchiale e 5 in quelle della Chiesa Conventuale; nel periodo 1861/63 i morti furono 102: 96 furono seppelliti nella Parrocchiale e soltanto 6 nella Conventuale. Nel 1864 le salme furono portate e seppellite nel cimitero.

Addossato alla parete di fondo della Chiesa del Convento – si vede tuttora - è il cenotafio dei Castromediano su cui sono le statue del marchese don Francesco e della moglie donna Beatrice; sotto c’era la fossa sepolcrale in cui fu calato, per ultimo definitivamente e per diritto di ancora vigente patronato, Chiliano Castromediano, morto il 3 marzo 1864.

Perdurando questa precaria situazione, Pasquale Noè Forcignanò, del ramo Panesi, chiese e ottenne per primo in concessione mq. 6 di suolo all’interno del cimitero, vi scavò una fossa e la destinò a sepolcro-ossario riservato ai congiunti (esiste tuttora); comunque, negli anni successivi in questa sepoltura particolare, per benevola concessione, furono accolti parecchi morti estranei ma amici di famiglia.

Nel luglio del 1867 i cadaveri dei defunti tornarono ad essere tumulati nel cimitero comunale, e questa pratica non mutò più, anche perché durante gli anni 1868-69 – Sindaco il sacerdote don Pasquale De Matteis e Curato il sacerdote don Oronzo Totaro – fu praticato un largo scavo seminterrato, e in quattro file parallele prospicienti su due corridoi contigui furono costruiti numerosi loculi singoli disposti in quattro ordini, nei quali, a partire dal 1870, venivano deposti i cadaveri delle consorelle e dei confratelli defunti, iscritti in vita alla Confraternita del SS. Sacramento, dell’Addolorata e della Buona Morte; vale a dire che lì trovavano degna sepoltura decennale i cavallinesi membri della Congrega. Cesaria Rizzo, di anni 48, fu la prima a occupare un loculo distinto nella nuova struttura, infatti il suo corpo delatum fuit in coemeterio et sepultum in sacello Congregationis.

L’ultimo degli Ecclesiastici ad essere seppellito in Chiesa fu don Paolino Marchiello, morto il 26 agosto del 1872, cuius corpus sepultum fuit in Ecclesia Parochiali in sepulcro Sacerdotum; invece il successivo sacerdote, don Pasquale De Matteis, morto nel dicembre del 1885, fu seppellito in Coemeterio, in sepulcro familiae Forcignanò.

L’anno 1871 – Sindaco Raffaele De Pascalis – la Cappella della Vergine del Monte subì il definitivo rifacimento: fu ulteriormente ingrandita in larghezza e in lunghezza; al centro del vano fu scavata una cisterna (con bocca rasoterra ben protetta), dalla quale con secchio e fune manualmente si attingeva l’acqua per i portafiori degli altari e dei loculi e per i vasi dei tumuli; fu rifatto il pavimento con lastricato e fu elevata una nuova facciata a timpano.

Sull’architrave della porticina laterale della chiesetta fu incassata la lastra lapidea, rinvenuta nelle vicinanze ma di provenienza ignota, con incisa un’iscrizione in lingua greco-bizantina. Lo studioso André Jacob tradusse il testo il quale dice: «Fu fondata e costruita questa venerabile chiesa della santa Teotokos grazie agli sforzi e alle fatiche di Nicola Markiantes per mano di Giovanni, figlio del capomastro Pellegrino, nell’anno 6818 (1309/1310), indizione VIII».

Di fronte al prospetto del tempio e diritto fino al portone dell’entrata fu tracciato un viale, segnato lungo entrambi i lati da due filari di cipressi. Inoltre su un lato della chiesetta fu aggiunta la camera mortuaria e sul lato opposto furono ricostruiti, a volte a botte, un vano-alloggio, una cucinetta per lu rremitu te campusantu, e una stalla: questa umile dimora per molti anni fu occupata da Arturo Colagiorgio, un arguto e simpatico amicone privo d’una gamba, e dal suo asinello ammaestrato. Questo, quando il padrone era impedito, andava in paese e si presentava alla porta del forno, lu Pascalinu capiva e, secondo precedenti accordi presi con mèsciu Arturu, poneva nnu piezzu te pane nella bisaccia appesa al collo dell’animale; poi il somarello si presentava davanti alla putea te la Nina Surge, la bottegaia capiva e nella bisaccia metteva nnu fiascu te mieru e mienzu quintu te recotta sçante.

Cosimo De Giorgi nei suoi Bozzetti di viaggio, 1882, così descrisse: «… col bel viale che la precede e colla gaia tinta del nuovo, questa cappella sembra una vaga forosetta, piantata lì fra i mandorli e i fichi per ricevere e ricambiare il saluto a coloro che si recano da Lecce a Cavallino, o di quegli altri che da Cavallino partono… per l’altro mondo!»

Nel 1891 il patriota Sigismondo Castromediano ottenne dal Consiglio comunale di erigere una particolare edicola funeraria ai margini della zona cimiteriale: il piccolo ingresso è all’interno del vecchio recinto; al di qua del recinto, infissa sulla faccia esterna della parete, è la relativa lapide marmorea. In questa cappelletta il venerando patriota fu sepolto, e il documento parrocchiale così recita in latino:

Die vigesima sexta Augusti 1895 – Caballini –
Sigismondus Castromediano Dux Morciani nubilis octoginta quinque annorum, filius qq.m Ducis Dominici, et Theresiae Balsamo, obiit die dicta, hora quarta noctis, sacramento extremae untionis roboratus per me, cuius corpus sepultum fuit in coemeterio, in sepulcro particulari. Est ita.

Aeconomus Curatus Orontius Totaro


Con il trascorrere del tempo la popolazione di Cavallino ebbe un notevole incremento, sicché pure il cimitero risultò ancora una volta insufficiente ad accogliere le salme dei defunti. Si tenga presente che nel 1918, l’anno dell’epidemia “la spagnola”, a Cavallino ci furono addirittura 105 morti, il doppio della già alta media annuale. Inoltre aumentò il numero di coloro che aderivano alla Confraternita e ciò dava loro il diritto, morendo, di essere sepolti in un loculo distinto da una lapide con ritratto, nome e cognome, data di nascita e di morte, per un periodo decennale. E intorno al 1940 la Congrega dovette costruire un’altra struttura a cassettoni per i propri soci ssettati fratelli e le socie ssettate surelle.

Nella cappella, intanto, da lungo tempo l’altare di S. Giovanni Battista era rimasto annerito e deteriorato dalle fiamme appiccatevi da un cero, che avevano distrutto la pala con l’immagine del santo. Nel 1943, allora, il pio concittadino Stanislao Maggiore restaurò l’altare e nel riquadro vuoto pose il dipinto su tela, opera sua, raffigurante la Anime purganti.

Ormai nei solchi della terra andavano le salme di coloro che non avevano la possibilità di pagare la quota d’iscrizione e il contributo annuo di appartenenza alla Confraternita; poi le condizioni economiche della gente migliorarono alquanto e, quindi, essere inumati sotterra era indice di povertà, che toccava la suscettibilità e l’orgoglio della famiglia. Allora fu l’Amministrazione Civica a provvedere e a fare edificare un complesso a loculi distinti da destinare ai cittadini defunti non confratelli della Congrega.

Il Comune – Sindaco Mario Gorgoni - acquistò anche un ampio terreno adiacente alla Cappella della Madonna e pianificò la superficie in vialetti e a piccoli lotti e assegnò questi in concessione a privati cittadini autorizzati a erigervi un’edicola funeraria di famiglia.

Nel 1955 – Sindaco Luciano Sambati – si procedé ad una successiva e idonea ristrutturazione del complesso cimiteriale e allora fu eretto l’attuale importante ingresso affiancato da quattro colonne doriche, e arricchito da tre statue in pietra scolpite e donate dal bravo Stanislao Maggiore: la Vergine col Bambino al centro sul frontone, e ai lati una Donna afflitta in preghiera e un Uomo vecchio in meditazione.

Attualmente, a causa del notevole incremento della popolazione del Comune, cui si sono aggiunti il rione di S. Giorgio e il rione di Castromediano, essendo di conseguenza cresciute le esigenze e le richieste dei nuovi concittadini, il cimitero comunale di Cavallino – Sindaco Gaetano Gorgoni – è in corso di ulteriore ampliamento e di necessaria dotazione di altre strutture ricettive, secondo un programma di definitiva sistemazione conforme a un progetto già approvato dall’Amministrazione comunale e in fase di realizzazione.

L’intero complesso, attualmente affidato ai compiti di manutenzione e di custodia di Mario Serra, si presenta apparecchiato e lindo, curato e ordinato, le tombe infiorate e le aiuole fiorite. La Cappella e il Camposanto giornalmente sono frequentati da sempre più numerose persone, che vi si recano per rendere pietosa visita alli Santi Muerti e che mai dimenticano di indirizzare un pio bacio in direzione del piccolo sacro tempio della Vergine Maria.

È importante rammentare, ognora, che il Vescovo di Lecce Salvatore Luigi Zola in data 21 aprile 1882 concesse 40 giorni d’indulgenza a coloro che recitano 3 Ave alla Vergine del Monte; e pure il Vescovo Gennaro Trama in data 27 novembre 1906 accordò altri «50 giorni d’indulgenza a tutti i fedeli che divotamente reciteranno 3 Ave Maria» davanti all’antica immagine de la Matonna te lu Monte.




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