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Il territorio del feudo

Per inquadrare cronologicamente l'argomento e chiarire sinteticamente la prospettiva storica, ricordiamo che 3000 anni fa, qui vicino, sul pianoro a nord dell'attuale abitato di Cavallino, era stanziato un villaggio di gente indigena.

Poi, anno 753 a.C. - racconta la storia - sette comunità di agricoltori e di pastori latini strinsero un patto di unificazione politico-sociale e fondarono una città, Roma, nel Lazio; anche intorno al 753 a.C. - supponiamo noi - alcuni nuclei di agricoltori e di pastori messapi immigrati conclusero tra loro un accordo di unità e fondarono una città (il nome è rimasto sconosciuto) proprio nella zona del villaggio indigeno, sempre sul pianoro a nord dell'odierno abitato di Cavallino.

Intorno al 600 a.C., Roma, minacciata dagli Etruschi, si cinse di poderose mura; pure intorno al 600 a.C., la città messapica di Cavallino, minacciata dai Greco-Tarentini, si munì tutt'intorno di una muraglia e di un fossato, lunghi circa 3000 passi.

La città dei latini e la città dei messapi, però, ebbero un diverso destino; infatti verso l'anno 460 a.C. l'Urbe di Roma era divenuta potente e padrona del Lazio e dell'intera Italia centrale; ugualmente verso il 460 a.C. la Città messapica di Cavallino fu sconfitta, occupata e distrutta dai Tarentini; e le rovine dell'abitato, le pietre delle case, i cocci delle tegole e dei vasi di terracotta, i massi delle mura si sparsero nella contrada ricoprendo la zona di frantumi e di detriti.

Seguirono poi quindici secoli di silenzio e di oblio sul nostro territorio, e nel contempo si sfasciò l'Impero romano, poi nel nostro Salento si susseguirono i Bizantini, i Longobardi, i Normanni, poi gli Angioini, poi gli Aragonesi.

Sino al 1200 il pagus Cavallini era stato parte integrante della Contea di Lecce; ma verso il 1250 troviamo che il casale di Caballino, compresa la contrada di Tafagnano, era posseduto dal barone Pietro de Noha; e successivamente il feudo andò a finire all'unica ereditiera Aloisia de Noha; ma Aloisia (Luigia) de Noha era sposata con Aloisio (Luigi) de Castromediano, e dunque per diritto maritale, nel 1427, il feudo di Cavallino e Tafagnano passò in possesso del Casato dei Castromediano.

Nel 1580 il barone Sigismondo il giovane de Castromediano acquistò per 9.300 carlini d'argento il tenimento di Ussano; e così i baroni de Castromediano diventarono padroni feudatari di un territorio vasto circa 2.200 ettari, esteso da Lecce a Caprarica, a Galugnano e a S. Donato, e da S. Cesario a Merine e a Lizzanello.

La campagna a nord dell'abitato di Cavallino fu adibita a seminativi, a maggesi, a pascoli e a ficheti; i campi a sud, più ricchi di terra e più feraci, furono adibiti a oliveti, a vigneti e a orti.

Il territorio fu diviso in masse di terre (massarei) e in poderi recintati e chiusi da muricce (chiesure); e furono approntate numerose masserie (l'abitazione del massaio, l'alloggio dei salariati fissi (cumenanzieri), la rimessa, il magazzino-deposito, l'aia, la stalla, l'ovile, il porcile, la conigliera, il pozzo e le cisterne). E indichiamo la Dardina, lu Pignu, li Rizzella, li Pepini, Donna Rosa, Torremuzza, e poi, a dud-est, Sant'Alieni, le Angeliδδe, li Guerini, le Insìte, li Nsarti.

L'oliveto era molto esteso e i padroni Castromediano impiantarono ben quattro trappeti ipogei: uno in paese, al di qua dell'Arco de lu Calò; un altro al di là dell'Arco, detto trappitu de lu Crucefissu; il terzo frantoio oleario, lu trappitu de Santusì, era (e l'ipogeo c'è tuttora) in agro di Ussano; il quarto ipogeo, detto semplicemente Trappite noe, è dalle parti di S. Cesario e si raggiungeva per la strada campestre de lu Lupiceδδu.

Noti erano i poderi recintati coltivati a ortaggi, a verdure, con alberi di fico e, lungo il muro a secco di cinta, arbusti di melograni, di cotogni e piante di ficodindia. Citiamo: Santu Lazzaru, le Petre, la Cascettara, le Ngalle, li Tòtari, li Tiani, le Rispe, le Menze, Cristu, la Rutta.




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