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Il dialetto leccese
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Semplificazioni grammaticali Mutazioni e diversificazioni di suoni e segni I gruppi dd- e δδ-; sc- e sç-; str- e tr-; z- e ž


Mutazioni e diversificazioni di suoni e segni

Nel linguaggio della gente leccese cominciarono a comparire e man mano a stabilizzarsi in molte parole le prime lievi mutazioni di singole lettere, fenomeno questo provocato dalla necessità di adeguare la nuova pronunzia alle capacità vocali dei parlanti; inoltre, qualche segno o un'intera sillaba di suono debole, come si è già detto, e tutte le consonanti finali delle parole finirono per non essere più pronunziati nella concitazione del discorso di persone illetterate; sicché si ebbe:

latino leccese italiano
vacantemacantevuoto
hamusamuamo per la pesca
àrboremàrverualbero
bìberebìerebere
byssusbissubisso ricamato
ustulaturusbrustulaturutostino
caelumcelucielo
crascraidomani
crescenturuscresceturulievito
cristacristacresta
adaquaredacquareannaffiare
fagusfaufaggio
fraterfratefratello
flùndulaiùndulafionda
mandulamèndulamandorla
màsculusmàsculumaschio
murtariummurtarumortaio
condùcerendùcerecondurre
hominemòmmeneuomo
panduspandumoscio
pirumpirupero
quàtenusquàtenuquanto e come
granumranugrano
brùculusrùculucavalletta
scrìberescrìere-screìrescrivere
sororsorusorella
sororessururisorelle
strigastrica, striastrega
tamdiutanduallora
termitemtèrmeteolivastro
buccauccabocca
involutareulutarerivoltare
sambucuszambucusambuco

Certo il passaggio del parlare dalla lingua latina popolare all'idioma vernacolo leccese si verificò attraverso lente e graduali diversificazioni di elementi lessicali, attraverso misteriosi ma naturali processi di mutuazioni linguistiche, fenomeni di trasformazione - ripetiamo - che si svolsero di generazione in generazione per parecchi secoli, all'incirca dal VI al XVI sec.

Difatti, consideriamo sinteticamente. Dopo la disintegrazione politico-amministrativa dell'Impero romano, durante le successive dominazioni straniere (anche nel Salento si insediarono gli Ostrogoti, i Bizantini, i Longobardi, e poi i Normanni e gli Svevi, e poi gli Spagnoli), un lunghissimo periodo storico caratterizzato da endemica miseria e da diffusa ignoranza, il latino volgare subì in maniera sempre più radicale frequenti trasformazioni nel lessico, nella fonetica, nella sintassi.

Effettivamente, in tempi successivi (è impossibile indicare la data certa e precisa del verificarsi di ogni singola variazione) si produssero nella pronunzia popolare leccese mutamenti sempre più vistosi; tantissime voci latine, non più regolate dalle norme lessicali e grammaticali, trasmesse oralmente, sulla bocca della gente leccese subirono notevoli alterazioni; non a capriccio, però, ma secondo maniere e cadenze abbastanza costanti, determinate - insistiamo su questo motivo - dal naturale processo di articolazioni fonetiche e definite dalle precipue attitudini psicofisiche dei parlanti.

In generale, nella parlata leccese le vocali -a, -e, -i, -o, -u, in tutte le posizioni nel vocabolo, si pronunziano con suono pieno e chiaro; anche la -e- e la -o-, che nel toscano-fiorentino possono avere in alcune parole suono aperto e in altre suono chiuso, nel leccese si pronunziano in un loro identico suono aperto e largo; non c'è alcuna differenza fonica, infatti, per es., tra ccetta = egli accetta e ccetta = la scure; tra legge = egli legge e legge = la legge; tra ieri = tu eri e ieri = ieri; tra more = muore e more = more, scure.

In particolar modo bisogna osservare che le vocali -e- e -i- sono soggette ai medesimi fenomeni di sostituzione scambievole; difatti alle vocali latine oppure italiane -e-,-i- corrisponde nel leccese ora la -e-, ora la -i-, e ora il dittongo -ie-: lat. certus > lecc. certu (it. certo); lat. acetum > lecc. citu (it. aceto); basilicus > basilecu (basilico); medicus > mietecu (medico); lat. dentes > lecc. tienti (it. denti); lat. vermis > lecc. sing. erme e pl. iermi (it. verme).

La vocale -o- in leccese si pronunzia con suono pieno e chiaro senza alcuna distinzione, come in italiano, tra o- aperto e o- chiuso. Tuttavia, poiché l'idioma leccese predilige i suoni cupi, la vocale -o di derivazione latina o greca o italiana o straniera, raramente resiste, sostituita dalla -u: lat. colorem > lecc. culure (it. colore); lat. sorores > lecc. sururi (sorelle); greco phyton > lecc. fitu (sciame); it. bòccolo > lecc. bùcculu; francese mortier > lecc. murtieri (malta).

Spesso (fenomeno tipico leccese!) alla -o- tonica primitiva si sostituisce il dittongo -ue-: lat. corpus > lecc. cuerpu; focus > fuecu; mortus > muertu; porcus > puercu; novus > nueu; it. biscotto > lecc. pesquettu. Ma attenzione! Nel passaggio della voce leccese dal maschile al femminile, il dittongo -ue- torna ad essere -o-: mortus > masch. muertu > ma femm. morta; porcus > masch. puercu ma femm. porca; novus > masch. nueu > ma femm. noa.

La -u- è la vocale che più frequentemente compare nell'idioma leccese, che - ripetiamo - predilige i suoni vocalici cupi. La -u- sostituisce tutte, proprio tutte, le -o finali delle parole madri e molto spesso compare al posto della -o- all'interno dei vocaboli originari: lat. succosu > it. succoso > lecc. sucusu; color > colore > culure; populus > popolo > populu.

Per quanto riguarda particolari segni letterari c'è da notare:

- la consonante liquida l- seguita da consonante labiale spesso si mutò nella liquida r-: lat. malva > lecc. marvia (it. malva); lat. culpa > lecc. curpa (it. colpa); culmus > curmu (colmo); polpus > purpu (polpo); albinus > Arbinu (Albino);

- i nessi latini ci-, ce- seguiti da vocale cominciarono ad essere articolati con il suono zz-: lat. carraticia > lecc. carratizza (carrobotte); cretaceus > critazzu (terreno cretaceo); e per analogia da grumaticeus > rumatizza (terreno arricchito con stallatico);

- i nessi latini ti-, te- seguiti da vocale cominciarono ad essere pronunziati con il suono forte z- o zz-: lat. gratia > lecc. cràzia e ràzzia (it. grazia); cucutia > cucuzza (zucca); puteus > puzzu (pozzo); platea > chiazza (piazza);

- i gruppi latini ct-, bsc-, nsc- si semplificarono per essere pronunziati più facilmente: lat. conductus > lecc. nduttu (condotto); obscurus > scuru (oscuro); conscientia > cuscenzia (coscienza);

- la lettera x- latina non passò nel linguaggio leccese, ma generò la sibilante s- o ss-: lat. exigere > lecc. sìggere (avere desiderio); lat. exire > lecc. essire (uscire); exhumare > ssumare (sollevare il livello di un liquido); exercitium > sertìziu (esercizio).


Mutazioni profonde e caratteristiche subirono sulla bocca dei Leccesi alcuni fenomeni; ecco i più tipici e i più interessanti:

- la o- tonica - come già s'è detto - in leccese ebbe come esito il dittongo ue- e poi anche la semplice -e- (mentre in toscano fa uo- e pure -o-): lat. bonus > lecc. buenu (it. buono); corium > cueru (cuoio); homines > uemmeni (uomini); focus > fuecu (fuoco); morsus > muersu (morso); ovus > ueu (uovo); tortus > tuertu e tertu (torto); somnus > suennu ed anche sennu (sonno);

- la vocale e- tonica spesso si mutò in ie-: lat. ferrum > lecc. fierru (ferro); merum > mieru (vino); hibernum > iernu (inverno); pectus > piettu (petto); lentus > lientu (lento);

- il nesso al- seguito da dentale o da palatale si mutò in au-: lat. altus > lecc. autu (alto); caldus > cautu (caldo); falsus > fausu (falso); calcem > cauce (calcio); falcem > fauce (falce);

- i nessi li-, le- seguiti da vocale in leccese assunsero il suono gghi- (in italiano divennero gli-): lat. filia > lecc. figghia (it. figlia); allium > agghiu (aglio); cilium > cigghiu (ciglio);

- i gruppi consonantici cl-, pl-, tl- si trasformarono in chi- e cchi-: lat. oculus > oclus > lecc. uecchiu (it. occhio); lat. speculum > speclum > lecc. specchiu (it. specchio); plica > chica (piega); planta > chianta (pianta); plenus > chinu (pieno); vetulus > vetlus > ecchiu (vecchio);

- nella parlata prettamente leccese il gruppo nd- latino rimane stabile: lat. quando > lecc. quandu (it. quando); mundus > mundu (mondo); grandis > rande (grande); contra bandum > cuntrabbandu (contrabando); (in altre isole linguistiche salentine rispettivamente si dice per assimilazione: quannu, munnu, ranne, cuntrabbannu);

- il gruppo mb- invece non si stabilizzò e tuttora oscilla tra mb- e mm- per assimilazione: lat. lembus > lecc. limbu e limmu (bacinella di terracotta); lat. palumbarius > lecc. palumbaru e palummaru (it. colombaia); lat. bambacem > lecc. ambace e mmace (it. bambagia);

- infine, ricordiamo che il suono della dentale di 2° grado d- nella parlata leccese si avvicina maggiormente al suono della dentale di 1° grado t-: lat. dolorem > lecc. tulore (it. dolore); sudorem > suture (sudore); decem > teice (dieci); digitus > tìsçetu (dito); dentes > tienti (denti); nodus > nnutu (nodo); nudus > nutu (nudo).




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