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Il dialetto leccese
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Mutazioni e diversificazioni di suoni e segni I gruppi dd- e δδ-; sc- e sç-; str- e tr-; z- e ž Ulteriori osservazioni sulla ortoepia e ortografia


Fonetica e grafia dei gruppi dd- e δδ-; sc- e sç-; str- e tr-; z- e ž

Interessante nella parlata prettamente leccese è il fenomeno per cui al suono liquido laterale della doppia ll- (o latina o greca o italiana o francese) si sostituisce il tipico suono rotacizzato della doppia dd-, che forse è un retaggio di un qualche antichissimo sostrato linguistico mediterraneo (fenicio?, messapico?), giacché è comune pure al calabrese, al siciliano e, in parte, al sardo. Dunque, solamente l'originale nesso ll- dà come esito fonetico dd- rotacizzato che riproduce un suono cacuminale invertito, il quale si ottiene poggiando sul palato la punta della lingua piegata alquanto all'indietro; esempi: lat. illa > it. ella > lecc. idda; lat. illac > lecc. ddai; lat. nullus > lecc. nuddu; lat. martellus > it. martello > lecc. martieddu; lat. pellis > it. pelle > lecc. pedde; greco mallos > lecc. maddune (fiocco di lana); greco trullos > it. trullo > lecc. truddu; francese melle > lecc. medda (nespola). Sempre e solo ll- > dd-!

Riprodurre graficamente il suono rotacizzato cacuminale invertito per gli scrittori vernacoli leccesi ha costituito sempre un problema di ricerca e di scelta personale senza mai giungere a una convenzione comune. Nel dramma settecentesco di autore anonimo Rassa a bute (giuntoci manoscritto) troviamo evidenziato il suddetto suono caratteristico con l'aggiunta di un taglietto apportato sulle asticelle delle lettere dd-.

Successivamente, fra gli scrittori dialettali:

- alcuni hanno tenuto presente la corrispondenza ll- > dd ed hanno scritto dd- senza alcuna aggiunta (D'Amelio, Marinosci, Miggiano, De Maria, Parlangeli; il Panareo e il Susanna evidenziarono scrivendo dd- corsivo in parola scritta in tondo, e dd- normale in parola scritta in corsivo);

- parecchi hanno usato il gruppo ddh- (Casotti-Imbriani, D'Elia, Leoni, Marangi, Bozzi, Vernaleone, Rucco, Caforio, Capodacqua, Coppone, Greco, Invitto, Mazzo, Montagna, Mucciato, Morello, Nuzzoli; Giuseppe De Dominicis il Capitano Black usò prima dd- e poi, consigliato dall'amico prof. Fr. D'Elia, adottò ddh-);

- qualcuno usa sbrigativamente dh-;

- alcuni ancora, per aderire il più possibile al suono della pronunzia, hanno scelto il gruppo ddr- (Costa, Pagliarulo, Morelli, Fiorentino);

- altri hanno usato ddhr- (Bernardini-Marzolla, De Filippi, Marra);

- altri, infine, hanno convenuto di scrivere dd- ponendovi .. due puntini sotto (Salamac, Rohlfs, Cucugliato, Graziuso, De Donno, Lupo, Caputo), in questo caso, però, andando incontro a difficoltà dattilografiche e tipografiche perché le macchine per scrivere, allora, non possedevano tali segni e bisognava crearli di proposito.

Io, non avendo nel mio computer le preferibili dd- con i due puntini sotto, uso i segni δδ- (i delta dell'alfabeto greco) sia perché tali lettere, per la forma, richiamano le lettere italiane dd- e sia perché, nello stesso tempo, ne evidenziano la diversità di grafia e quindi suggeriscono subito di pronunziare con differente suono le normali dd- e le speciali δδ-, distinguendo fonicamente, per esempio: iddi, idde (vidi, vide) e iδδi, iδδe (essi, esse); friddu (freddo) e riδδu (grillo); ecc.

Il digramma sc- nel linguaggio leccese viene pronunziato con suoni diversi. In questa sede, semplificando l'argomento, raccogliamo tali vari suoni in due distinti gruppi, che per analogie e somiglianze chiamiamo: 1° di tipo italiano - 2° di tipo napoletano.

In sintesi, - il digramma sc- in leccese può far sentire come in italiano un suono sibilante gutturale secco (lecc. scatula = it. scatola, lecc. scutu = it. scudo); ed anche un suono schiacciato duro (lecc. scemu = it. scemo, lecc. scippu = it. scippo, sciancatu = sciancato);

- il digramma sc- in leccese può far sentire come in napoletano un suono palatilizzato dolce (sçaffa, sçanare, musça, sçuma) e un suono schiacciato bleso (sçennaru, sçènneru, masçi, sçire, sçiana, sçioculanu, sçiudeu).

Nella grafia leccese è importante diversificare il digramma sc- del 1° suono di tipo italiano dal digramma sç- del 2° suono di tipo napoletano; ciò implica e distingue addirittura il significato diverso di un vocabolo simile; per esempio: osce (vostre) e osçe (oggi); àsciu (basso) e àsçiu (posto); càscia (cassa) e càsçia (cada); pèsciu (piscio) e pèsçiu (peggio); scattare (scattare) e sçattare (scoppiare). È necessaria, dunque, segnalare questa diversità fonetica. In che modo? Semplice: basta porre nel digramma sc- del 2° suono di tipo napoletano un segno speciale qualsiasi, sopra o sotto la s- (es. š) oppure sopra o sotto la c- (es. ç-) secondo le contingenti possibilità dattilografiche e tipografiche.

Il gruppo str- nel dialetto leccese ha un suono sibilante cacuminale invertito sordo: camastra (catena del camastrale), castratu (castrato), strèmeti (strepiti eccessivi), strèusu (estroso), strittu (stretto), stròppiu (storpio), strùsçere (struggere); anche il nesso tr- ha suono cacuminale invertito sordo: tratimentu (tradimento), trenu (treno), tribbulare (tribolare), troppu (troppo), truccu (trucco).

A questo punto un'osservazione è opportuna circa la grafia di detti nessi str- e tr-. Si sa che un segno speciale di scrittura segnala la pronunzia particolare ma di per sé non riproduce il relativo fonema. Orbene, poiché il suono di entrambi questi gruppi consonantici str- e tr-, nell'ambito del linguaggio e del lessico leccese, è sempre e solamente cacuminale, sempre e solamente spirante postdentale, senza alcuna eccezione, è superfluo segnalarlo graficamente apponendovi segni particolari: per distinguerlo da che cosa? Ma non esistono nella parlata leccese altri nessi simili, str-, tr-, da pronunziarsi con suono diverso!

La consonante z- indica il suono affricato aspro e sordo: lecc. zàmparu (zoticone), zèppula (zeppola), zìngaru (zingaro), zòcculu (zoccolo), zuca (fune), ràzia (grazia); infatti la z- viene pronunziata con suono doppio rafforzato come se i vocaboli fossero scritti zzàmparu, zzèppula, zzìngaru, zzòccalu, zzuca, ràzzia;

Invece la consonante ž- indica il suono sonoro e dolce (così come anche nelle parole italiane žagara, želo, žižžania, žulù); e dunque diciamo: lecc. žallu (rožžo), žeru (žero), màžžaru (žoticone), žella (testa calva), žulù (žulù), pužu (polso), žichi-žachi (žig-žag).




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