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Il dialetto leccese
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Primi documenti scritti leccesi

Durante la prima metà del sec. XIII ci fu nell'Italia meridionale (diciamo meglio presso la Corte di Federico II di Svevia) il tentativo di creare una vera e propria lingua letteraria, tentativo compiuto non spontaneamente dalla popolazione del regno, ma artificiosamente dagli scrittori e dai poeti della cosiddetta Scuola Siciliana; venne fuori un modo di scrivere e comporre costituito dalla medietà dei dialetti siciliani, calabresi, lucani, pugliesi, campani, abruzzesi.

Era una lingua artificiale, ricercata e affettata, adoperata sì dai dotti e specialmente dai poeti di corte, ma staccata e lontana dall'uso comune, per cui non ebbe né poteva avere vita fortunata. E infatti, morto il re (1250) e caduto il regno degli Svevi (1266), tale lingua col tempo fu soppiantata, in campo nazionale, dal coevo idioma toscano-fiorentino; e, in ambito provinciale, dalle singole parlate locali. Questi idiomi, anzi, continuarono a svilupparsi e a consolidarsi secondo le tendenze naturali spontanee e le condizioni sociali delle singole popolazioni; ma dello stadio di questi dialetti, purtroppo, non ci sono giunte testimonianze scritte.


Finalmente abbiamo dei documenti letterari scritti risalenti, però, alla seconda metà del sec. XV (diari e cronache di scrittori locali, scritture notarili, ecc.) nei quali possiamo rintracciare un nuovo linguaggio che non si sa se definire "latino dialettizzato leccese" oppure "leccese italianizzato":

- dove già si ha semplificazione di -e- per -ae-, soppressione di -h-, chiusura di -o- in -u-, in alcuni casi apertura della -i- in -e- ed in altri casi chiusura di -e- in -i-;

- dove si ha anche riduzione di tibi in a te, potest in pote; formazione del futuro perifrastico dicebo > dicere abeo > tìcere àggio;

- dove ora ricorrono, mescolate a termini antichi latini e a termini nuovi italiani, voci dialettali leccesi già consolidate e calate nell'uso comune, come, per esempio, nui (noi), vui (voi), citate (città), cità e citatini de Lezze (città e cittadini di Lecce), cussì (così), lanza (lancia), onze (once), àggio (ho), sape (sa), chiù (più); e, rintracciate qua e là, espressioni quali: comparare cento thumuli de òrgiu, che poi diventerà: cumprare centu tùmeni te uèrgiu (comprare cento tomoli di orzo); e ancora: ni ànno facto (gli hanno fatto), nce à fatto (ci ha fatto), simo restati (siamo restati); seccara bona parte d'àrbori (seccarono buona parte di alberi); tanti de brucoli… et poi sparera suli (tante cavallette… e poi disparvero da sole); mandau pe pilliare (mandò per pigliare); e inoltre: scarfare (scaldare), trasire (entrare), no tremolizzo (un terremoto), li baruni (i baroni), persuni (persone), le focara (i falò), marangie (arance amarognole).


Il seguente distico di Minervino, che si fa risalire all'anno 1473, viene segnalato come il più remoto documento tipico dell'idioma popolare leccese; esso dichiara:

Como lu lione e(s)t lo re dell'animali
Cusì Menerbinu e(s)t lo re de li casali

Un cronista del tempo (seconda metà del sec. XV), M. L. Cardami, nei suoi "Diarii" (evidenziamo che egli si esprimeva in lingua letteraria) sotto l'anno 1478 annotò: Foro tante le campie grandi ad modo de lucerte, che se mangiavanu tutte le vigne ("Furono tanti i bruchi grandi a mo' di lucertole, che si mangiavano tutte le vigne").

Un brano tratto dall'atto ufficiale "Instrumentum concordie" n. 68 del 1495 (Libro Rosso della Città di Lecce) recita in lingua cancelleresca: Fuit conclusum che per observare la unione, amore et benevolencia tra li dicti Magnifici baruni et dicta Magnifica Universita se faza uno istrumentu puplico nel quale utraque pars se obligara vivere in omnibus et per omnia sin come se ha vixuto et viveno de lo Regimento

Appare chiaro, ad ogni modo, che il linguaggio e lo stile, sia quello popolaresco del primo brano (il distico di Minervino), sia quello letterario del secondo (l'annotazione del Cardami), sia quello curialesco del terzo brano (la promessa di pace), risultano da una mescolanza o, se vogliamo, da una medietà tra latino volgare, italiano popolare e leccese emergente.

In epoca moderna gli Spagnoli tennero a lungo sottomessa l'Italia meridionale e il loro dominio si fece sentire pesantemente in campo politico-fiscale. Il loro apporto linguistico lessicale, invece, nel dialetto leccese risultò molto meno sensibile e diffuso di quanto potesse far supporre il lungo periodo (dal 1559 al 1700) di dominazione, segno che la pomposa civiltà spagnolesca influì limitatamente sulla consolidata cultura contadina delle popolazioni salentine, le quali ebbero lunghi contatti ma limitati rapporti solamente con i funzionari regi e non anche con le truppe spagnole, che, a dire il vero, tra noi rimasero stanziate per breve tempo.

All'influenza spagnola potremmo far risalire la desinenza -iento delle parole leccesi reggimientu, patimientu, trumientu, rusecamientu, ecc., uso facilitato anche dal più antico modo di formare il plurale dei nomi derivati da voci latine in -entes (tonica e- > ie-): lat. parentes > lecc. parienti (parenti), lat. serpentes > lecc. serpienti (serpenti).

Ecco alcune voci leccesi con etimi spagnoli:



spagnolo leccese italiano
vascobascuberretto senza visiera
cabezacapezzatestiera del cavallo
jicarachìccaratazzina da caffè
crianzacrianzariguardo rispettoso
erdaderdateverità
fanfarrònffànfarufanfarone
farfullarfarfugghiarefarfugliare
chocolategiucculatacioccolata
malejanamalesçianamalavoglia
(Do)mingoMinguDomenico
atrasarntrassareaccumulare arretrati
pastillapastigghiastucco
pelèapelèapolemica
callarquagghiarecagliare
huracanracanutemporale
escabechescapecesmàridi sotto aceto
jena, janasçianaumore
semanasemanasettimana


Dei prestiti lessicali francesi presenti nell'idioma leccese, alcuni, i più arcaici, devono farsi risalire al periodo angioino (1266-1435); altri, specialmente le voci indicanti mestieri e attrezzi artigianali, tipi di armi, oggetti commerciali e di abbigliamento, sono da addebitare alla influenza francese esercitata o indirettamente tramite la lingua italiana o direttamente nel corso del più recente, se pur breve, periodo murattiano (1808-1815).



francese leccese italiano
balancezballanzèordine di ballare
patchoulibasçiulìacqua odorosa
breloquebroloccuciondolo
boitbuattabarattolo di rame
gargulecargiulagabbia per uccelli
cheminèecemenèamensola del camino
dormeusedurmosapoltrona a sdraio
fauvettefalaettabeccafico
Fiandrefiàndenapanno di Fiandra
jaquettegiacchettagiacca da uomo
mellemeδδanespola selvatica
empeignempignaparte alta della scarpa
mortiermurtierimalta speciale
panierpanierimercato periodico
roisneròsenarosetta del maniscalco
roquetruccettugancio, uncino
oucoulerruccularetubare dei colombi
jealnesçiàlenucolore giallastro
changez damesciangitamacambiate dama
char-à-bancsciarabbàcarro con balestre
sans-façonsinfasòalla carlona
traintraìnucarro agricolo
tournoisturnisiquattrini, danari
ouateuattaovatta
boucheruccerimacellaio



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