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Cavallino attraverso i secoli
Capitolo precedente: Capitolo sesto Capitolo successivo:
Dalla rivolta dei baroni
alla fine della contea di Lecce
Dal martirio di Otranto
all'occupazione spagnola
Dalla costituzione del viceregno
al sorgere del marchesato

PARTE PRIMA: LA BARONIA

Capitolo sesto

DAL MARTIRIO DI OTRANTO ALL'OCCUPAZIONE SPAGNOLA



1 - I Turchi occupano Otranto....

Il casale di Cavallino rimase seriamente danneggiato dalla pestilenza del 1470, che mieté numerose vittime. Il barone Giovanni Antonio I, allora, per ripopolare il paese, concesse vantaggiosi privilegi a chi volesse venire ad abitare in Cavallino, ed un certo numero di forestieri lontani accolse l’invito sia perché c’erano sempre dei baroni più oppressivi di altri e sia perché gli immigrati erano desiderosi di risiedere vicino al capoluogo.

Cavallino non aveva fatto in tempo a riprendersi, che il 28 luglio 1480 sull’intero Salento si abbatté un’altra sventura: lo sbarco dei turchi musulmani a Otranto.

In verità non erano un mistero le intenzioni offensive di Maometto II; re Ferrante d’Aragona già da prima pensava di approntare le necessarie opere di difesa. Ma, tutto intento a far guerra contro la Repubblica di Siena, non aveva attuato alcun piano difensivo e si era limitato ad esortare le città meridionali ad imporsi contribuzioni eccezionali per il rafforzamento delle mura.

I Turchi, invece, poterono sbarcare sulle coste senza incontrare ostacoli e, organizzato tranquillamente l’assalto, occuparono l’infelice cittadina.

Soltanto a fine novembre il principe ereditario Alfonso d’Aragona da Siena giunse con l’esercito in Terra d’Otranto, ma, poiché la stagione non era propizia per i combattimenti, affidò l’esercito a Giulio Acquaviva, suo Luogotenente, e fece ritorno a Napoli per approntare altre forze.



2- ... e saccheggiano Cavallino

Anche Cavallino, ottemperando agli ordini di re Ferrante, dovette dare la campana della chiesa per farne archibugi e spingarde. Il re si impegnò che avrebbe in seguito risarcito le chiese, ma la promessa non fu mantenuta; soltanto Lecce qualche anno dopo riebbe il suo campanone.

Nel frattempo i feroci assalitori compirono frequenti incursioni attraverso la pianura salentina. Scrisse il Coniger che drappelli di cavalleria turca “andarono per marina de San Cataldo et corsera Trepuzze, Schenzano... et due volte vennero a currere fino alle porte de Lecce”.

Il pascià Achmet inviò un messaggero ai Leccesi per ordinare che si arrendessero, promettendo un trattamento benevolo, altrimenti Lecce avrebbe subìto la medesima sorte di Otranto. Per fortuna a difesa della città di Lecce giunse il duca di Melfi con archibugieri e balestrieri, e gli invasori non osarono tentare l’assalto.

Un giorno, però, mentre erano diretti a Lecce, i Turchi giunsero a Cavallino. Gli abitanti, sorpresi e atterriti, si rinserrarono nelle proprie case. I nemici sfondarono le porte e derubarono gli abitanti. Poi con i muli e i carri dei contadini stessi si portarono via sacchi di grano e di orzo, vitelli e pecore, per rifornire di viveri le truppe stanziate a Otranto, dove rimasero tranquillamente a spadroneggiare per più di un anno.



3- Il valoroso barone Luigi II

Luigi II Castromediano, il nuovo barone di Cavallino, arruolò tutti i suoi dipendenti atti alle armi, si unì alle milizie degli altri baroni salentini e tutti insieme corsero a dare man forte alle truppe regie, riuscendo a tenere bloccati gli assalitori turchi dentro la città di Otranto e impedendo loro di allargare la conquista nella penisola salentina. In parecchi scontri con le pattuglie nemiche i soldati cavallinesi, guidati da Luigi II, risultarono vincitori. Per i meriti conquistati sul campo, il sovrano concesse come premio a Luigi II la fertile terra coltivata a vigneto di Casalnuovo in territorio di Manduria.

Finalmente nel mese di Luglio del 1481 Otranto fu liberata senza combattere; infatti l’inattesa morte di Maometto II indusse il comandante degli invasori turchi, il pascià Achmet, a intavolare trattative per lo sgombero di Otranto e per il ritorno in patria.

La tremenda avventura, culminata con il feroce massacro degli Otrantini, suscitò negli animi di tutti gli abitanti del Salento una tale paura, che la preoccupazione di un possibile e non improbabile ritorno dei musulmani si fece sentire per parecchi anni successivi.

Il 1° gennaio 1488, convocati dal Capitano, si riunirono in Lecce i sindaci del Salento e i baroni, il vescovo e gli abati della diocesi, per stabilire dove imporre un nuovo tributo annuo straordinario di 200 ducati per provvedere al rafforzamento delle mura di Lecce capoluogo.

Anche il barone di Cavallino si impegnò di corrispondere un tornese per ogni barile di vino mosto prodotto dai vassalli nel territorio del feudo. La nuova imposta finiva per cadere sui coloni, il merito sul barone!

Nello stesso anno i soldati cavallinesi, sempre al comando di Luigi II, chiamati da re Ferrante, parteciparono alla difesa di Brindisi, minacciata dai Veneziani, che tentavano di impadronirsi dell’importante porto.



4- Rapporti difficili tra la città di Lecce e i baroni

I rapporti tra l’Università di Lecce capoluogo e i baroni della provincia diventavano sempre più tesi e carichi di sospetto e diffidenza. Ognuna delle parti tendeva ad accrescere le proprie prerogative a danno dell’altra e la Regia Camera della Summaria era oberata di cause intentate dall’Università (l’Amministrazione cittadina) contro i baroni e viceversa.

Il 21 marzo 1495, sotto il regno di Alfonso II d’Aragona, successo a Ferrante, in Lecce alla presenza del Capitano della provincia, quale rappresentante del re, convennero il sindaco Raffaele Lubello con il consiglio cittadino al completo e i signori, nobili e baroni, Giovanpietro de Guarino, Antonello de Noha, Luigi de Castromediano, Giovanfrancesco de Noha, Giovanni Francesco Coniger, Nardo de Guarino, Alessandro de Paladini, Bernardo Barone, Giacomo de Achaya, Mariotto Corso, Urbano Franceschino, Guglielmo de Pratto, Giovanpaolo de Guarino, Stefano Barone, Masio de Maramonte e Petruccio de Montefuscolo, tanto a nome proprio che a nome e per parte di suo fratello Antonello, analfabeta.

Tra le parti fu concluso un “patto di concordia”. Il concordato prevedeva che, d’allora in poi, ognuno potesse vivere e agire e operare cosi come era vissuto ed aveva agito e operato per il passato: l’Università secondo i suoi privilegi, grazie, immunità, franchigie, consuetudini, e i baroni conservando casali e feudi con le loro servitù che avevano in quel momento, rinunziando entrambe le parti a qualunque azione legale contro l’altra.

Ma nel medesimo anno sorse un'altra controversia tra Luigi II Castromediano e la città di Lecce. Il barone pretendeva che i suoi ex vassalli, che avevano ottenuto la cittadinanza leccese, continuassero a pagare le imposte unitamente ai residenti nel feudo di Cavallino. Tenendo fede al “patto di concordia” non si arrivò alla Camera della Summaria, perché il barone si piegò a redigere e a sottoscrivere di suo pugno la seguente dichiarazione: “Io Loysi de Castromediano barone de Cavallino sto in accordo et vivo in pace cum la magnifica Universita de Leze et mo et sempre serò figliuolo de ubediencia et ad fidem me subscripto de mia mano propria” (Libro Rosso della Città di Lecce - Requisicio n. 87).



5– Piaghe e castighi

Molto spesso, come s’è visto, i giovani vassalli erano costretti a lasciare le famiglie e a correre armati agli ordini del barone; frequentemente venivano così a mancare valide braccia ai lavori campestri. Pure spesso insorgevano le malattie infettive: peste, vaiolo, colera, dissenteria, epatite, causate dalla mancanza d’igiene personale e ambientale, facili a diffondersi perché colpivano corpi già debilitati e perché le medicine erano inefficaci.

Alle frequenti chiamate alle armi, alle diffuse epidemie si aggiungevano le calamità naturali che erano ritenute veri castighi di Dio. Tra tante testimonianze piace trascriverne alcune tramandateci dal leccese A. Coniger:

“1468 - Foro in questo Regno et sinnanter (specialmente) in Terra d’Otranto tanti li bruculi (le cavallette) che tutti li grani, legumi mangiavanu, et durò pe paricchi anni, et po pe volontà de Dio sparera suli.

“Fo in Lecce tanta neve, che seccaru tutte le olive et albori de marangie, che fo de bisogno tagliarele de sotto dove foro morti tanti augelli de più sorte (di varie specie) per no trovare da mangiare et pe la neve.

“1475 - Dio 27 Augusti pe lo grande immensurato caldo che fo in Lecce, seccaro tutte le vigne, vale il vino a grana 7 la quarta.

“1478- Foro tante le campie (i bruchi) grandi ad modo de lucerte, che se mangiavanu tutte le vigne...

“In Lecce vale lo tomolo de lo grano a tarì quattro e mezzo”.

Tra tante piaghe e castighi che aggiungevano nuova povertà all’antica miseria, che gettavano i coloni nella disperazione, finalmente quello stesso anno si verificò una favorevole circostanza, infatti “Fora tanta mortalità de pisce... su tutte le spiagge, che se vendette in piazza ad uno tornese lo rotolo”.

Ma i danni causati dalle intemperie si ripetevano con maggiore frequenza. Tanto è vero che G. Cino nelle sue “Memorie” lasciò scritto: “A.D. 1523 - Cadde grandine a guisa di pietre che fornì di desolare gli alberi ed ogni altro e dissipò talmente l’entrata delle olive che tutti i padroni e compratori di quelle si viddero in un punto impoveriti”.



6- Miseria culturale...

Eccettuati il barone e l’arciprete, tutti gli abitanti del casale di Cavallino erano analfabeti, si esprimevano con linguaggio semplice e povero, in forma dialettale di evidente derivazione latina.

Non era interesse del barone istituire la scuola, per il fatto che l’istruzione induce a pensare e i vassalli non dovevano pensare, dovevano solo eseguire ciecamente le direttive e gli ordini. Del resto anche se ci fosse stata la scuola del villaggio, essa non avrebbe avuto alunni; infatti, già a sette anni i ragazzi ricevevano in custodia le pecorelle da condurre al pascolo; a dodici anni prendevano in mano la zappetta per sarchiare; a diciotto i giovani impugnavano la pesante zappa e l’aratro.

Generalmente il molto e gravoso lavoro risultava privo di adeguata ricompensa e di intima soddisfazione.

Ricorrenti erano le carestie provocate dalle prolungate siccità e dalle invasioni di bruchi e cavallette.

Alle carestie seguivano quasi sempre le epidemie, causate dalla mancanza d’igiene: le abitazioni umide, malsane, mancanti di aria e di luce; in ogni ortale la fossa del letame maleodorante invasa da insetti; gli ovili e le stalle spazzate assai raramente; le immondizie lasciate marcire per le vie: proprio l’ambiente adatto al prosperare dei topi portatori della peste ora bubbonica, ora polmonare.

Ogni famiglia allevava le galline, le quali non erano tenute nella stia, ma di giorno razzolavano in strada, di notte rientravano in casa e si appollaiavano sotto il letto, a volte insieme con il maialino.

7- ... e povertà spirituale

Le pratiche religiose erano radicate nelle usanze, ma la fede si esprimeva con manifestazioni generalmente esteriori e superficiali: il bacio a tutte le immagini sacre; il segno della croce all’inizio di ogni azione importante, buona o cattiva; e invocazioni di aiuto alla Madonna e a Sant’Oronzo, patrono della provincia; il saluto ‘Santu Martinu” come augurio di abbondante raccolto e di buon profitto.

Altrettanto frequenti erano, però, le imprecazioni contro gli stessi di fronte ad ogni contrarietà; e le occasioni per bestemmiare erano numerose dal momento che la povera gente quasi ogni giorno veniva a trovarsi in situazioni sfavorevoli umane e naturali, quasi ogni giorno aveva da fare e da ridire con gli sfruttatori e gli approfittatori.

Carestie, siccità, grandinate, malattie debilitavano il fisico e lo spirito dei vassalli, i quali cercavano di scongiurare tali sventure con le processioni e con le flagellazioni di penitenza. Quando non ottenevano grazia mediante le preghiere e le promesse, ricorrevano alla magia e ai riti superstiziosi.

Si credeva alle streghe che si davano convegno sotto gli alberi di noce nelle notti di plenilunio; si ricorreva ai maghi. un vecchio o una vecchia, che, pronunziando formule misteriose, preparavano unguenti miracolosi, elisir di lunga vita e filtri d’amore, fatture malefiche e benefici incantesimi.

Tutti credevano nell’esistenza dell’ “uru”, un folletto dispettoso ma non cattivo, piccolo e astuto, che si divertiva ad intrecciare i crini dei cavalli e a saltellare sull’addome delle persone immerse nel sonno. Poveretti i contadini; spinti dagli stimoli dell’appetito, quando era possibile si abbuffavano di cipolle, cavoli, meloni indigesti; durante il sonno la digestione difficoltosa provocava incubi e dolori di pancia, che i creduloni ritenevano causati dall’ “uriceddru”, il quale, acquattandosi sullo stomaco del dormiente, provocava un fastidioso senso di oppressione fisica.



8- Lotte di predominio

Dopo sessant’anni di governo aragonese le popolazioni dell’Italia meridionale assistettero impotenti allo scontro tra francesi di Carlo VIII che miravano ad impadronirsi del Reame, e Federico d’Aragona, secondogenito di Ferrante, che si batteva per salvare e conservare il trono alla propria dinastia.

Le città pugliesi si divisero: le une si schierarono dalla parte dei Francesi, le altre rimasero fedeli agli aragonesi. La guerra ebbe vicende alterne e confuse con tradimenti, riappacificazioni, nuovi cambiamenti di campo. Cavallino rimase sempre fedele alla dinastia degli Aragonesi e offrì tutti gli aiuti in uomini e in denaro di cui disponeva.

Nel 1500 la guerra si allargò a tutta l’Italia e scesero in campo direttamente le due grandi potenze, Francia e Spagna, le quali inviarono i loro eserciti nelle nostre regioni e provocarono morti e rovine.

Nel 1503 si svolse la famosa disfida di Barletta, finita con la vittoria dei tredici cavalieri italiani, guidati dal valoroso Ettore Fieramosca, e con lo scorno dei francesi.

L’anno dopo nel regno napoletano alla monarchia aragonese subentrò il dominio diretto dei re di Spagna, i quali durante i duecentotrenta anni di loro dominazione governarono tramite un viceré.

Il Regno di Napoli, anzi il Reame per antonomasia, ridotto a... viceregno, cioè a semplice provincia soggetta al regno di Spagna.




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